- Titolo: Matrimonio mistico di santa Caterina d'Alessandria
- Autore: Francesco Mazzola, detto Il Parmigianino (cerchia di)
- Data: 1524 circa
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 74 x 117
- Provenienza: Parma, chiesa di San Giovanni Evangelista quale dono di Tiberio Dolfini, 1590
- Inventario: GN192
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Parma al tempo dei Farnese
L’opera era collocata in origine nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma, cui era stata lasciata in eredità insieme ad altri dipinti alla fine del ’500 (Rossi 1980).
Non si è mai risaliti all’originale di cui il dipinto ora in Pinacoteca è certamente una copia che si può ritenere eseguita in ambito parmense fra primo e secondo decennio del ’600 da un pittore che non doveva essere insensibile a orientamenti stilistici anche bolognesi del genere di quelli espressi, per esempio, da Cavedoni.
È singolare che non esistano tracce dell’originale, non solo in dipinti o disegni, ma neppure in fonti documentarie: poiché si tratta, come è evidente anche dalla copia, di una composizione che si prevedeva vasta e complessa e destinata, sembrerebbe, a un grande affresco piuttosto che a una pala d’altare.
Le figure si affollano infatti in una zona che appare decentrata rispetto a un fulcro che si intuisce essere in alto a destra dal quale emana la luminosità. Questa “bordura” di figure tra le nuvole è quanto di più concettualmente vicino alla cupola di San Giovanni Evangelista di Correggio Parmigianino abbia mai eseguito. La recente attribuzione di uno dei putti della volta della chiesa parmense al Mazzola in prima persona (Fornari Schianchi), fa ritenere che si possa trattare della documentazione “superstite” di uno studio che Parmigianino andava facendo alla metà degli Anni venti per un’eventuale decorazione ad affresco: il putto è infatti “gemello” nel taglio degli occhi e nell’effetto di muscolatura enfiata e deformata (Coliva 1993, p. 9) di quello che ci restituisce con esattezza questa copia; anch’esso soprattutto è posto, esattamente come quello, sul bordo di un cornicione che delimita un vasto spazio vuoto. Se si confrontano i disegni preparatori per il mai realizzato catino absidale della Steccata, dove doveva comparire l’Incoronazione della Vergine, con la composizione che questa testimonianza tarda ci documenta, si rilevano coincidenze estremamente interessanti nell’elaborazione formale di una vasta decorazione ad affresco.
In particolare due studi (Popham 665 recto: Popham 594) mostrano come fosse analoga la concezione di un nugolo di figure in precipitoso affollarsi verso una forza centripeta che nei due disegni è costituita dalla figura del Cristo e qui è evocata solo dalla sorgente luminosa. Altrettanto simile, e intensamente correggesca, è la soluzione di far trasportare le figure da una massa indefinita di nuvole e putti.
Da un punto di vista strettamente stilistico invece, mentre i disegni marcano un netto distacco rispetto all’inevitabile confronto correggesco, il dipinto (per quanto possa far fede una copia) sembrerebbe vicino anche nelle morbidezze formali al modello di San Giovanni Evangelista intorno alla cui data dovrebbe collocarsi l’ipotetico originale.