Le due miniature del Pichler furono offerte in vendita alla R. Accademia, al prezzo di lire 100 l’una, dal signor Giuseppe Pizzamiglio di Bologna nel novembre del 1880, insieme all’omaggio di sette disegni e dieci modelli di cammei in gesso e pietra dello stesso artista. L’acquisto fu definito nel febbraio del 1881 e tutte le opere rimasero in Pinacoteca fino al 1893, anno in cui i modelli dei cammei e i disegni furono ceduti al Museo d’Antichità, ora Archeologico, dove si presume siano tuttora custoditi.

Giovanni Pichler, appartenente a una famiglia di incisori di origine tirolese, può essere considerato uno dei più abili intagliatori di gemme del XVIII secolo. Figlio del maestro Antonio e di Teresa Pinzerizzin, nacque a Napoli il 1 gennaio del 1734, ma svolse la sua attività a Roma, dove abitò in strada del Corso e nella sua bottega, fra le più rinomate e frequentate dall’ambiente artistico, intellettuale, politico e aristocratico capitolino, si formò, oltre al fratello Luigi anch’egli intagliatore, Giovanni Antonio Santarelli, autorevole incisore di gemme e di quei ritrattini di cera “all’antica”, che in epoca neoclassica susciteranno tanto interesse (cfr. AA.VV. 1981).

Oltre a dedicarsi allo studio delle antichità romane e alla tecnica dell’intaglio di cammei, Giovanni Pichler, si cimentò in giovane età anche nel disegno e nella pittura avendo ricevuto un valido insegnamento presso Domenico Corvi, protagonista della cultura figurativa romana, precursore della pittura di ”storia” e straordinario ritrattista (Seidmann 1996, p. 733). Questa familiarità di Pichler con i pennelli spiega l’abilità che dimostra di avere nell’esecuzione di queste miniature su avorio; si può presumere che l’esecuzione di miniature fosse una pratica abbastanza consueta per un maestro di glittica come lui, abituato a operare in piccole dimensioni.

Il ritratto che ha lasciato di sé a tre quarti di figura è un’opera di particolare qualità pittorica, non solo per la freschezza del disegno e della resa delle piccole pennellate sui merletti della cravatta, ma per l’intensità d’indagine che svolge sul volto, facendolo “uscire” dal fondo scuro e sfumando con naturalezza l’incarnato.

L’età che dimostra è piuttosto giovanile e probabilmente non era destinato a fare da pendant con la miniatura della moglie, poiché quest’ultima figura appare leggermente fuori scala e di età più avanzata: probabilmente ha posato per il piccolo ritratto diversi anni dopo le nozze. Di diversa esecuzione appare comunque questo ritratto di Antonia Olivia Selli, sposata il 25 luglio del 1765, figlia di un appaltatore del lotto (Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia, vol. I Roma 1959, p. 272), che sfoggia un’altissima acconciatura con i capelli scuri gonfiati enormemente e adorni di nastri, moda d’influsso francese particolarmente in uso a partire dall’ottavo decennio del XVIII secolo.
Del resto, la scelta di porre la figura frontalmente toglie all’artista la possibilità di creare effetti chiaroscurali attorno al personaggio, permettendogli di privilegiare maggiormente l’ornamentazione dei nastri sul capo e di soffermarsi nel disegno delle frappe del vestito, a scapito dell’indagine psicologica.

Un loro figlio Giacomo, nato a Roma nel 1778, proseguirà l’attività del padre e dello zio Luigi e seguirà la sorella Maria Teresa (1767-1834) a Milano andata sposa nel 1791 al poeta Vincenzo Monti. Di Teresa Pichler, nella galleria moderna di Palazzo Pitti è conservato un ritratto di Carlo Labbruzzi che la raffigura in piedi a fianco dell’erma paterna, la cui fisionomia, pur in età matura e colta di profilo, prova la somiglianza con la nostra miniatura (cfr. Catalogo Generale Uffizi, 1980, Ic 582, p. 688; AA.VV. 1981, n. 43, p. 60).

Bibliografia
Atti… 1880;
Copia lettere… 1880, n. 88;
Ricci 1896, p. 252;
Quintavalle A.O. 1939, p. 264;
Thieme – Becker, ad vocem Pichler, 1932, vol. XXVI, p. 585
Mariangela Giusto, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.