La Vergine è rappresentata in statica posizione frontale con il Bambino fasciato in braccio, mentre con la mano destra tiene un fiore. Il volume del corpo, dietro il quale è appena accennato il trono a colonnine con i braccioli a ricciolo, è reso con pochi tratti incisi sulla pietra. La strana forma della lastra forse è frutto di una riduzione posteriore, come dimostrerebbe la rifinitura abbastanza grossolana che contrasta con la cornice modanata inferiore.

L’opera è resa nota dall’Ottaviano Quintavalle (1938a), che ne mette in evidenza i caratteri sicuramente derivati dall’iconografia antelamica delle Vergini col Bambino e certi bizantinismi, anch’essi riconducibili alla lezione di Benedetto, nel Bambino fasciato; stabilisce poi una relazione con i santi Pietro e Paolo del Duomo di Berceto, proponendone la stessa cronologia (1198). Anche la Fornari Schianchi (1989) riconnette la Vergine col Bambino alla più tradizionale iconografia antelamica tradotta secondo schemi arcaici e privata della solennità monumentale e della caratterizzazione plastica del maestro; istituisce poi confronti tipologici con opere lignee catalane e lega questa immagine al tema della mater matuta, l’antica divinità italica della fecondità, secondo una mediazione dall’iconografia classica che è ampiamente diffusa anche nel Medioevo. La Rapetti (1990) accetta i nessi già proposti con la tradizione antelamica e i confronti con le opere bercetesi, ma, per la sommarietà di esecuzione, sposta la cronologia al XIV secolo.

Certamente ci troviamo di fronte a un’opera di devozione popolare, che richiama alcuni particolari iconografici delle Vergini col Bambino antelamiche, come il fiore, il Bambino fasciato e la terminazione del vestito sui piedi, ma non ha nulla in comune con la tradizione antelamica per quanto riguarda l’esecuzione. L’appiattimento della figura, la sommarietà della resa dei panneggi, l’evidente sproporzione del Bambino, riconducono ad arcaici schemi di tradizione lombarda, spesso perpetuati in artisti minori e in opere di carattere imitativo ben difficilmente databili, quando addirittura non si tratta di “riproduzioni” popolari; basti notare l’esecuzione della mano destra del Bambino, che, per l’articolazione delle dita e l’interpretazione volumetrica, fa sospettare una cronologia molto più tarda, forse anche al secolo XVII e oltre. Tuttavia le caratteristiche interne dell’opera, proprio per la qualità e la commistione di elementi diversi, non risultano risolutive; per cui, forse, si potrebbe tentare di far luce sulla storia antica e recente di questa lastra attraverso una lunga e paziente ricerca documentaria.

Scheda di Maria Pia Branchi tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall’Antico al Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1997.