Nell’immagine trovano sintesi due iconografie mariane, tra loro affini: quella dell’Assunta – che è il titolo tradizionalmente riferito al quadro – e quella dell’Immacolata. Gli occhi rivolti in alto, le braccia aperte con le palme all’insù, il movimento delle vesti e del corpo suggeriscono il volo ascensionale della Madonna al cielo; la corona di stelle, il globo del mondo e il crescente di luna sono attributi dell’Immacolata.

Si tratta di un tema sul quale Sebastiano Conca ebbe occasione di esercitarsi più volte, come dimostrano le diverse versioni pubblicate o segnalate da Sestieri (1981, p. 254, figg. 86b-d). Fra di esse, la tela di Parma si impone come una delle prove più sostenute. Oltre al già istituito confronto con l’Assunta della chiesa romana dei Santi Luca e Martina, ultimata nel 1740, si può paragonarla al San Camillo de Lellis in gloria (Roma, chiesa di Santa Maria Maddalena) affrescato nel 1744. Domina, in tutti e tre i casi – pur molto diversi per tecnica, misure, destinazione – l’esibita retorica delle braccia alzate. Anche la cronologia è analoga.

Sotto il crescente lunare, lungo il margine inferiore del dipinto di Parma, corre infatti una scritta con la firma del pittore e la data 1740. Scritta non esente da problemi, per quanto attiene alla firma. Davanti al nome Sebastiano si legge un “Io”, a lungo interpretato come abbreviazione per Giovanni, cugino (non fratello, come un tempo si credeva) del pittore. Per questa ragione il quadro è stato inteso come lavoro di collaborazione fra i due artisti (Testi 1908, p. 111; Quintavalle 1939, p. 211 e 1948, pp. 115-116). La soluzione è respinta da Sestieri (1981, p. 254) per motivi di stile (che è quello caratteristico di Sebastiano) e per le ridotte misure del dipinto che rendono improbabile il tandem esecutivo. Non convince però neppure la proposta, allora dubbiosamente avanzata da Sestieri, di leggere l’“Io” come pronome personale. Meglio allora lasciare in sospeso la questione, in attesa che altre considerazioni possano affacciarsi.

Circondata da un alone di luce – una sorta di aureola dilatata che ricorda la “mandorla” della santità medievale – la Madonna è accompagnata da una duplice coppia di cherubini. Sono di sorvegliata invenzione i due angioletti a destra: quello pensoso – in cui sembra riflettersi, nel gesto delle braccia conserte, un’eco dall’angioletto affacciato alla balaustrata della Madonna Sistina di Raffaello – e l’altro, attraversato dal netto confine tra luce e ombra, che tende esuberante le braccia, quasi ad afferrare la straordinaria apparizione di bontà e di letizia.

Definito dalla pennellata fluida, ampia, veloce, dall’animata trama dell’ombra e della luce, dall’enfasi soppesata degli atteggiamenti, il quadretto esprime tutta la maturità professionale, sapientemente posseduta, dell’artista. Non raro alle commissioni private, anche se maggiormente impegnato nella decorazione “in grande” degli affreschi e delle pale d’altare per le chiese.

Bibliografia
Testi 1908, p. 111;
Quintavalle A.O. 1939, p. 211;
Quintavalle 1948, pp. 115-116;
Sestieri 1970, pp. 132, 135;
Ceschi Lavagetto 1979, p. 63;
Sestieri 1981, p. 254;
Kunze 1998, p. 482
Restauri
1978
Mostre
Parma 1948;
Gaeta 1981
Angela Ghirardi, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.