Vergine e Bambino raffigurati secondo la tipologia della Madonna che addolcisce i cuori duri (Rothemund 1966), variante russa del XVIII secolo della tipologia maiestatica bizantina della Odighitria, sono entrambi caratterizzati dal colore ambrato scuro della pelle e dalla gamma cromatica spenta dei loro abiti.

Il maphorion della Vergine da purpureo come è nell’ambito originario è divenuto bruno: esso mostra l’interno verde acido, come la tunica del Bambino. Il manto di quest’ultimo è rosso spento con una sorta di rigatura decorativa tono su tono. Le corone dall’esuberanza decorativa barocca sono impresse nella tela.

Le immagini appaiono molto ritoccate con una forte accentuazione oleografica della rotondità del volto, della tornitura del naso e delle labbra e dell’innaturale languore dello sguardo.

Già attribuita dal Rizzi (1976) a un anonimo polacco degli inizi del XIX secolo, tale tendenza alla carnosità della guancia e alla rotondità del mento si può effettivamente trovare con una certa continuità nelle icone polacche di epoca precedente, soprattutto nei volti femminili o angelici (Biskupski 1991; Deluga 1994), senza che esse giungano però alla pastosità così allentata della struttura materiale riscontrabile in questa tavola.

Il mondo slavo in genere già dal XIV secolo predilige forme di carnosità evidente anche se di tutt’altra matrice e tenuta, come si vede dall’esempio della testa molto più composta della Vergine della chiesa dei Piccoli Santi Guaritori a Ocrida (Balabanov 1986). Nel XVII secolo inoltrato esempi rumeni (Nicolescu 1971) enfatizzano la carnosità soprattutto delle labbra e del naso.

In particolare e con maggior pregnanza stilistica, pienezza e tornitura plastica dell’immagine sono del resto caratteristiche dalla metà del XIX secolo sia dell’ambito greco che di quello russo (Fleischer 1995), pur conservando in entrambi i contesti anche in epoca così avanzata un minimo di luci bianche nella definizione del volto, rapportabili alle lumeggiature bizantine.

Una meditata riflessione su tutti questi elementi sembra orientare, pur con tutte le riserve che gli evidenti, pesanti restauri comportano, per un datazione della tavola – come appare attualmente – al pieno XIX secolo su una matrice stilistica slavo-balcanica.

Scheda di Patrizia Angiolini Martinelli tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall’Antico al Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1997.