- Titolo: Veduta costiera al tramonto
- Autore: Pieter Mulier, detto il Tempesta
- Data:
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 98 x 132
- Provenienza: acquistati dal conte Stefano Sanvitale nel 1838
- Inventario: GN 280
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
I dipinti condividono con quelli proposti dalla scheda precedente l’itinerario collezionistico che dalla quadreria Boscoli – per la quale furono probabilmente eseguite nei mesi del soggiorno parmense del Mulier (1687) – li vide passare alla collezione Sanvitale attraverso l’acquisto da parte del conte Carlo nel secondo decennio del ’700 (Nota… I metà del XVIII secolo).
Le tele però, a differenza delle altre due, non sono comprese nella raccolta che gli eredi Sanvitale vendettero alla Reale Accademia nel 1834-35, né del resto figurano nell’inventario che di quella raccolta, conservata nel palazzo urbano della famiglia, fu steso dal pittore Filippo Morini quattro anni prima. È assai probabile che esse si trovassero nella Rocca di Fontanellato, residenza storica e privilegiata dei Sanvitale, e che da lì le abbia prelevate l’ormai anziano conte Stefano nel 1838 quando li vendette alla Galleria. A dire il vero, in quell’anno “…il Sig. Conte sottopose al giudizio del Corpo Accademico alquanti suoi quadri (…) ma si rispose che soltanto due paesaggi del Tempesta potevano acquistarsi” (Registro delle Lettere… 1835-1843). E l’acquisto fu davvero vantaggiosissimo: le due opere furono infatti pagate “lire nuove 300”, meno della metà di quanto versato quattro anni prima per l’altra coppia di dipinti, fra l’altro di dimensioni notevolmente inferiori.
Emerge chiaramente dalla documentazione relativa alla compravendita la volontà del conte Stefano di concludere a ogni condizione la trattativa, al punto da offrire in dono contestualmente le copie da Parmigianino (cfr. scheda 618) di Felice Boselli (munificenza artistica o piuttosto difficoltà finanziarie di una nobiltà in decadenza?). Il risultato fu comunque positivo non solo sotto un profilo economico, dal momento che fu così ripristinato l’antico legame collezionistico fra i quattro dipinti del Mulier, riuniti di nuovo in un’unica sede.
Le tele ovali risultano inserite entro un pannello ligneo rettangolare dipinto in nero, una sistemazione di certo realizzata per corrispondere a esigenze di decoro e uniformità espositiva nella quadreria di provenienza.
La coppia gioca in questo caso sulla diversità dei soggetti proposti: da un lato una marina, dall’altro un paesaggio pastorale, secondo una combinazione che trova un puntuale riscontro – anche per il formato ovale delle tele – in altre due opere in collezione privata pubblicati dal Roethlisberger (1970, nn. 268-269).
La marina, nella pittura del Tempesta è, quasi per antonomasia, la burrasca con naufragio, un genere che vantava una solida tradizione nella pittura olandese e che l’artista sperimentò fin dagli esordi, avendo davanti l’esempio del padre, Pieter Mulier il Vecchio, ma anche guardando a van Plattemberg e a Monsù Montagna. Proprio come pittore di tempeste egli si propose una volta in Italia, esercitando il tema con tale insistenza e professionalità da derivarne il soprannome e in larga misura anche la fama.
Quasi sorprendono allora nel catalogo del pittore pacate vedute marine come questa parmense, a dire il vero assai rare, se si escludono quelle affrescate, in alternanza a burrasche, in Palazzo Colonna. Il dipinto riprende le acque calme di una rada al tramonto, con vascelli ancorati in primo piano e la costa lontana all’orizzonte. Torna il consueto contrapporsi di un registro inferiore che emana un poetico senso di serenità, e di uno superiore, mosso e drammatico nell’incombere minaccioso delle nubi.
Ma il contrasto è qui meno netto e convenzionale che altrove, alla fine quasi ricomposto dal gioco sapiente della luce solare al tramonto che stempera in toni dorati il livore delle nubi e accende di riflessi e trasparenze l’immota superficie del mare. Un effetto luministico davvero convincente e di grande spettacolarità, che assume un riferimento importante nelle vedute portuali al tramonto di Lorrain, ma che invero non è distante da quello di un notturno al chiaro di luna.
Lo schema compositivo rivela la matrice classica nella distribuzione simmetrica degli elementi intorno a un centro individuato ed esaltato dai valori cromatici e luministici. Ma la struttura non è così dichiaratamente costruita come in genere nei paesaggi del Tempesta e riaffiora tra l’altro la memoria delle marine olandesi nella costa risolta in un’esile striscia lontana. È come se la scarsa frequentazione del soggetto evitasse al Tempesta gli schematismi e le forzature virtuosistiche cui facilmente cede la sua pittura collaudata e iterativa.
Ne è un esempio il paesaggio pastorale che fa da pendant alla veduta costiera. Il dipinto propone con il consueto accento espressivo di una pennellata densa e ricca di contrasti cromatici, una vallata boscosa di grande saturazione compositiva. La scena è però sostenuta, alla maniera classica, da un rigoroso impianto, come sempre nel Tempesta.
A due gruppi di alberi laterali in funzione di quinte – di cui quello a sinistra artificiosamente si piega sotto il profilo curvo della tela – si giustappone un gruppo arboreo centrale, a spezzare l’unità visiva dell’ultimo piano e dare scansione ritmica alla composizione. Si tratta di uno schema in grado di garantire un buon equilibrio all’immagine, al quale però le numerose reiterazioni nell’opera del Tempesta conferiscono il carattere di uno stereotipo troppo frequentemente sfruttato. Anche gli elementi che formano la scena – la coppia di pastori a riposo, gli animali, l’altura con torre, l’architettura castellana sullo sfondo e poi, naturalmente, gli alberi, alti e frondosi, e il cielo denso di nubi – sono quelli consueti di un vocabolario sostanzialmente ridotto che viene riproposto in diverse combinazioni sintattiche. In più – con la sola eccezione delle figure animali, che conservano il realismo tipico della pittura nordica – nessuno dei termini di questo vocabolario pare derivare da un’osservazione diretta della natura. Con ciò il paesaggio diventa formula, teatro, finzione e l’arte sta nella sapienza tecnica con cui la scena viene costruita. Sono questi del resto i caratteri fondanti del paesaggio decorativo che il rococò svilupperà nei decenni successivi e al quale il Tempesta, da consumato specialista, offre gli eccellenti risultati di un raffinato mestiere.