L’affresco, diviso in due sezioni da una cornice policroma evidenziata da rosette entro allungate losanghe, rappresenta da un lato la Trinità (presumibilmente tre figure identiche sedute su di un trono ricoperto di tessuto rosso) e dall’altro l’Incoronazione della Vergine. Il trono marmoreo davanti al quale campeggiano Maria e Cristo è strutturato con cuspidi laterali e aperture trilobe, rette da sottili colonne e con un largo soppedaneo; un arazzo giallo che lo ricopre parzialmente è decorato a disegni floreali rossi. La Madonna con le braccia incrociate piega leggermente il capo per ricevere la corona che il Figlio regge con entrambe le mani. Gesù indossa una veste verde ed è avvolto in un manto rosso soppannato di bianco, i tre colori che – come sottolinea la Lottici Tessadri – simboleggiano le Virtù teologali e fanno riferimento alla Trinità. Osservano la scena quattro angeli, due dei quali reggono un organo portativo e un salterio.

Secondo la Ghidiglia Quintavalle l’affresco potrebbe essere attribuito a un maestro della fine del XIV secolo o dell’inizio del successivo, influenzato, per ciò che riguarda l’iconografia della Trinità, dai frescanti della chiesa di Sant’Agostino a Bergamo, e per l’Incoronazione, dalla cultura veronese di Altichiero, ma con moduli più semplici e meno goticizzanti. Gibbs ritiene invece che sia opera di un seguace di Barnaba da Modena attivo attorno agli anni sessanta, mentre il Boskovits lo inserisce nell’ambito culturale del Maestro del Trittico, datato 1355, della collezione Thyssen-Bornemisza, senza però attribuirlo in maniera esplicita allo stesso autore. L’opera, smembrata fra la Thyssen-Bornemisza e altre raccolte private, proviene con buona probabilità da Piacenza o dal suo territorio, poiché nell’iscrizione posta sul pannello centrale viene nominato Montezago il luogo di origine del committente, un certo frate Pietro. Tale località è posta nel territorio piacentino, fra la valle del Chero e quella dell’Arda. L’Incoronazione Thyssen, considerata per anni lavoro di Nicoletto Semitecolo, è stata di recente analizzata dal Boskovits dal punto di vista della ricomposizione e dello stile, con la nuova attribuzione al Maestro del 1355, vicino alla cultura di Bartolomeo e Jacopino. La Gorni, riprendendo l’ipotesi di Boskovits, ipotizza che l’autore dell’affresco piacentino, esemplato sull’identica composizione della tavola Thyssen, possa essere Bartolino da Piacenza, pittore attivo intorno alla metà del secolo nel Battistero di Parma.

La Lottici Tessadri, dopo aver riscontrato come le aureole di Cristo e degli angeli siano simili a quelle della scena del Paradiso (scheda n. 27) e come la stessa gamma cromatica torni nella Madonna della Misericordia della chiesa di San Giovanni in Canale di Piacenza e nell’episodio della Penitenza, riconduce l’ignoto artista, autore anche del trittico del 1355, al medesimo laboratorio di Bartolomeo e Jacopino da Reggio. Benati riprende l’ipotesi di Boskovits, attribuendo l’Incoronazione al Maestro del 1355.

I raffronti più immediati paiono essere proprio quelli con il pannello centrale del trittico del 1355 con l’Incoronazione della Vergine. Il trono presenta la stessa volumetria, come simili sono le posizioni dei personaggi, i volti dolci e intensi, la gestualità calibrata e gli angeli leggeri e assorti recanti gli strumenti musicali. Le punzonature delle aureole a piccoli fiori alternati, le foglie ovali e il fogliame tra gli interstizi ad archetti sono identici nelle due opere e sono le stesse già viste negli affreschi assegnabili a Bartolomeo e Jacopino. L’affresco ha dunque come referente più diretto l’Incoronazione Thyssen, ma può essere effettivamente ricondotto all’ambito culturale della metà del secolo che ha prodotto le opere delle chiese piacentine di San Giovanni in Canale, San Francesco e San Lorenzo.

Scheda di Antonella Gigli  tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall’Antico al Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1997.