- Titolo: Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor
- Autore: Vincenzo Cannizzaro
- Data: 1766 (I premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 149 x 99
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: 19
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: L'Accademia
Vincenzo Cannizzaro è l’artista vincitore del primo premio di Pittura al concorso dell’Accademia di Belle Arti di Parma del 1766. Anno in cui il “Premio delle Arti fu disputato da pochi. Si è tuttavolta la R. Accademia rallegrata, veggendo, che in due soli quadri, e due disegni d’architettura il merito ha compensato il numero”. Il secondo premio andò a Domenico Pozzi.
“Il Quadro aveva per suggetto ‘La Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor’, e per sua divisa ‘Hic est filius meus carissimus, audite illum’” (Pellegri 1988, pp. 65-66). Gesù manifesta agli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni la sua natura divina; al suo fianco appaiono i Profeti Mosè ed Elia e una nube luminosa li avvolge. L’opera parmense, senza dubbio fra le migliori eseguite da Cannizzaro, è anche quella più celebrata e citata nelle notizie sull’autore e sulle serrate tappe della sua brevissima vita.
Di questa offre una ricostruzione piuttosto ricca la biografia scritta dal canonico reggino Pellicano nel 1838, se pur non sostenuta da rimandi a notizie d’archivio. Della tela in esame il biografo scrive: “proponevasi in Roma da quell’Accademia un concorso di belle arti con promessa di onorevoli premi, conosciuto ciò dal Cannizzaro pensò essere questo un mezzo acconcio per acquisirsi novella fama e splendore; per lo che prese incontamente a lavorare intorno al subietto stato dall’Accademia proposto, che era la Trasfigurazione del Salvatore sul Monte Tabor la quale opera com’ebbe egli fornito mandò tosto a Parma” (cit. in Gualdi 1972, p. 123).
Dal testo della biografia si delinea lo svolgimento completo della carriera di Cannizzaro, forse meglio di Canizzaro, visto che con due n è denominato dal biografo Pellicano e su questa denominazione insiste anche Geraci (1980, p. 9) confrontando alcune firme su quadri del pittore, fra cui quella riportata sul retro della tela parmense, dove la doppia n può ingannare visto che è soprascritta. Con una sola n è denominato nel testo del concorso (Pellegri, cit.), il Thieme – Becker riporta le due opzioni. L’autore descrive la formazione del pittore in patria e il suo trasferimento, sedicenne, a Napoli, alla Scuola di Francesco De Mura, la cui influenza resta centrale, come mostra anche lo stile della pala in esame, che d’altra parte risente delle acquisizioni del suo periodo romano, quando fu, dal 1763, alunno del Batoni.
La Trasfigurazione infatti, insieme a un più scontato omaggio allo stesso tema di Raffaello (Roma, Pinacoteca Vaticana) denuncia una chiara ripresa del modello omonimo di Marco Benefial (Vetralla, Sant’Andrea), che conduce col Batoni la corrente classicista romana.
La tendenza a riproporre con alcune varianti le opere dei suoi più diretti maestri caratterizza del resto il modo di operare di Cannizzaro, fin dagli esordi napoletani. Così è per il suo Roberto d’Angiò che fonda il convento di santa Chiara (Reggio Calabria, Museo Civico) rispetto alla tela omonima del De Mura eseguita per la chiesa di Santa Chiara a Napoli nel 1754, distrutta nel secondo conflitto mondiale o per la Caduta di Simon Mago, ancora del Museo di Reggio Calabria, debitrice al limite della copia, del dipinto di ugual soggetto eseguito da Batoni per la chiesa romana di Santa Maria degli angeli.
Più schietta e pregevole autonomia rivela la produzione ritrattistica del pittore, che genera un piccolo capolavoro nel ritratto dell’Arcivescovo Matteo Testa Piccolomini, conservato nella sagrestia del Duomo di Reggio Calabria. Nel 1767 il pittore rientra a Reggio e continua a dipingere, se pur già molto malato, fino alla morte. Negli ultimi giorni di vita, per implorare la guarigione dalla malattia il pittore avrebbe donato, secondo Pellicano – e si veda l’articolo di Minicucci 1928 – alla Vergine della Consolazione protettrice di Reggio Calabria, proprio la medaglia d’oro “di cinque once”, vinta nel concorso parmense, dopo averla fatta richiudere dentro un cerchio d’oro coperto da una corona d’alloro con la scritta: “Vincentius Canizzaro pictor reginus praemium virtutis suae Mariae Consts, per d.v.o.dic.1768” (Gualdi 1972, p. 123).