- Titolo: Tentazioni di sant’Antonio
- Autore: Jan Wellens de Cock (ambito di)
- Data: 1530 ca
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: cm 29 x 37
- Provenienza: Parma, collezione Sanvitale, 1834
- Inventario: GN258
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: I fiamminghi
Fra i temi più affascinanti e singolari della pittura fiamminga del XVI secolo frequenti sono le rappresentazioni delle tentazioni di sant’Antonio, un episodio famoso in cui il racconto biografico si unisce a quello simbolico.
Una delle interpretazioni più magistrali è quella fornita agli inizi del Cinquecento da Hieronimus Bosch nel famoso trittico di Lisbona; tutti gli esempi successivi sono stati influenzati dalle sue mirabolanti invenzioni e diavolerie.
In questa tavola il soggetto sembra ispirarsi proprio al pannello centrale del trittico di Bosch, soprattutto per l’idea di nascondere l’eremita all’interno di un albero. La scena è suddivisa tra il primo piano in cui sant’Antonio è seduto con un libro sulle ginocchia, sul tavolo vicino a lui si trova il Crocifisso e una “tau”, emblema dell’Ordine degli Antoniti, e intorno i simboli della tentazione; e il secondo piano dove, inserite in un paesaggio, sono rappresentate scene evocative della sua vita.
Egli benedice la diabolica processione che gli si sta avvicinando: un grillo con la sua stessa testa gli offre denaro e vanità, ai suoi piedi un cinghiale sta per essere infilzato da un mostro dotato di artigli e proboscide, mentre una giovane donna discinta, tradizionalmente considerata simbolo della lussuria, regge il calice eucaristico. Seguono ancora il corteo la strega ghignante, un nocchiero con un demonio alato sopra la testa, mentre sulla destra una civetta dotata di corna e proboscide osserva appollaiata sull’albero-rifugio.
Fra gli episodi che fanno da corollario, importantissimo è quello che avviene all’interno della tenda-palcoscenico posta sopra l’albero, dove si ritrovano simboli alchemici (mantice, nausea) ed eretici (la rana riferita alla dea egizia Heket). Altre soluzioni adottate nello sfondo rinforzano l’atmosfera, come l’incendio dell’abbazia, ripreso dal dipinto di Bosch, e la scelta dei colori accesi del crepuscolo per il cielo, dove volteggia un’altra mostruosità composita.
La qualità pittorica notevole del quadro consente di assegnarlo ad uno degli artisti fiamminghi seguaci di Bosch attivi intorno al 1530 ad Anversa, e lo si potrebbe accostare al gusto di Jan Wellens de Cock.
La tavola faceva parte della ricca collezione dei conti Sanvitale di Parma, giunta in Galleria nel 1834 grazie agli acquisti promossi dalla duchessa Maria Luigia.