Il dipinto versa ora in buone condizioni conservative grazie al restauro con il quale è stato provveduto alla foderatura della tela, alla sostituzione del telaio, alla pulitura della superficie cromatica e al ritocco pittorico.

Secondo quanto riportato nell’Inventario generale e nei cataloghi, sarebbe pervenuto alla Galleria nel 1851 con la collezione Dalla Rosa-Prati; ma andrà ricordato che già in un catalogo della “Ducale Galleria di Parma” del 1825 è segnalata, sotto il nome di Francesco Gessi, una “Lucrezia: mezza figura grande al naturale” (Notizie sulle Pitture… 1825, p. 16).

L’attribuzione a “Procaccini” riportata nell’Inventario della collezione Dalla Rosa-Prati è stata sostituita subito dopo con quella al reniano Francesco Gessi (Inventario generale… 1852, n. 122); proposta concordemente accolta dagli autori dei cataloghi della Galleria, da Pigorini (1887, p. 19) a Ricci (1896, p. 86) a Sorrentino (1931, p. 22), mentre Quintavalle (1939, p. 300), con definizione più generica, ha preferito riferire il dipinto alla Scuola bolognese del ’600 e porlo “nell’ambito del Reni” rilevandone “l’intensa colorazione verdastra vicina al Cagnacci”. In anni recenti è stata tentata una dubitativa identificazione con la Lucrezia romana di Lorenzo Loli un tempo nella collezione Parisetti di Reggio Emilia (Ambrosini Massari 1992, pp. 302-304).

In realtà l’approfondimento degli studi sulla pittura emiliana del ’600 ha privato di fondamento la proposta in favore di Francesco Gessi e non sembra neppure lasciare spazio a ipotesi di riferimento alla pur vasta e variegata situazione della pittura emiliana. Se l’espressione assorta e quasi sospesa dell’eroina romana può far pensare all’emotività delle figure femminili di Reni e di Guercino, la stesura pittorica e la gamma cromatica spostano piuttosto l’attenzione verso l’area genovese per i rinvii alla poetica di Valerio Castello e di Giovan Benedetto Castiglione.

Il modo di piegare i panni e il ductus del pennello che deposita striature grafiche ricordano in particolare le opere di un artista di origine genovese attivo prevalentemente nel Parmense, quell’Antonio Lagorio, o Lagori, che la critica è andata riscoprendo in questi ultimi anni sulle tracce delle prime segnalazioni di Cirillo e Godi, a dispetto del silenzio delle fonti. Mostra affinità con il nostro quadro, ad esempio, il San Siro e angeli della chiesa di San Siro a Coenzo di Sorbolo datato 1680 (Cirillo – Godi 1984, pp. 256-257). È probabile che, al pari di quest’ultimo dipinto la cui composizione è tratta da un modello incisorio del 1628, anche la Lucrezia debba la frontalità dell’impostazione a un prototipo di primo ’600, in questo caso verosimilmente bolognese.

Permane tuttavia una certa resistenza al trasferimento tout court di quest’opera nel catalogo di Antonio Lagorio a motivo della scarsa riconoscibilità della pennellata, solitamente briosa e staccata, e per un certo freno alla deformazione fisionomica che nell’artista genovese rievoca a volte la pittura di Francesco Maffei; caratteri reperibili in alcuni dipinti sconosciuti e variamente attribuiti che gli andranno invece riferiti, ad esempio una Carità in collezione privata modenese, una Figura allegorica con il sole e un frutto nella collezione della Banca Popolare di Vicenza, una Giustizia della raccolta del Seminario di Rovigo ora depositata presso l’Accademia dei Concordi, una Madonna col Bambino e san Giovannino della Galleria Gatti di Crema attribuita a Valerio Castello (1998), due analoghe versioni con Cristo e l’adultera (una presso “Antichità Brancaccio”, Torino, nel 1993; l’altra passata all’asta Sotheby’s, Monaco, 7-8 dicembre 1990, lotto 73) che bene si connettono alle quattro grandi tele bibliche del Musée des Beaux-Arts di Orléans (Sueur, in Italies… 1996, pp. 200-207), alla Santa Margherita dell’oratorio di Santa Croce a Soragna (Godi, in Dipinti e disegni genovesi… 1973, p. 52) e alla Cleopatra di collezione privata a Samboseto di Soragna, oltre che alla serie degli Apostoli e degli Evangelisti dell’oratorio dei Santi Antonio e Rocco a Varese Ligure (Mari, in Ratti 1989, pp. 61-63).

Bibliografia
Inventario… 1832-1851, n. 113;
Inventario… 1852, n. 122;
Inventario… 1874, n. 882;
Pigorini 1887, p. 19;
Ricci 1896, p. 86;
Sorrentino 1931a, p. 22;
Quintavalle A.O. 1939, p. 300;
Ambrosini Massari 1992, pp. 302-304
Restauri
1999 (C. Barbieri)
Scheda di Angelo Mazza, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.