La vicenda delle due statue colossali raffiguranti Dioniso ed Eracle inizia a Roma, nei giardini farnesiani di Campo Vaccino dove furono ritrovati nel 1724, a seguito degli scavi promossi da Francesco Farnese, duca di Parma, sugli Orti del Palatino.

Destinate originariamente ai giardini della Reggia di Colorno, è solo nell’Ottocento che, per volontà di Maria Luigia, le due sculture furono trasferite nel grande e luminoso salone ovale, appositamente progettato nella sequenza degli spazi espositivi della Galleria ducale, dove si trovano tutt’ora, unica testimonianza rimasta della cultura antiquaria settecentesca e della passione per le sculture colossali e dei marmi colorati propria dei Farnese. Realizzati in pietra di bekhen o basanite, materiale prezioso e di difficile lavorazione, proveniente dall’Egitto, le due figure di Dioniso ed Eracle, entrambi figli di Zeus e di donne mortali, erano già dalla fine dell’età classica associate insieme, spesso in posizione simmetrica, in importanti edifici architettonici; consuetudine che si ritrova anche in ambito romano come attestano queste due opere destinate probabilmente a decorare il complesso palaziale di Domiziano. Dioniso è qui rappresentato con il capo lievemente volto a sinistra, i capelli che sfuggono al krobylos, scendendo sulle spalle in lunghi riccioli, mentre circonda con l’avambraccio le spalle di un Satiro, che lo sostiene cingendolo alla vita e a una coscia, accompagnato da un tino colmo d’uva. Dalla spalla sinistra scende, avvolgendo la gamba, l’himation, i piedi sono calzati coi tipici coturni all’antica. Il suo aspetto giovanile, quasi femmineo, corrisponde all’iconografia codificata nell’arte greca a partire dal V sec. a.C., in cui Dioniso costituisce una divinità complessa, simbolo di alterità ed espressione della tendenza all’irrazionale tipica della natura umana, che fu poi in epoca romana riduttivamente identificato come dio del vino. Il restauro settecentesco ha sostanzialmente rispettato l’impostazione originaria della scultura, anche se risulta modificato l’appoggio della gamba sinistra, in origine probabilmente flessa e arretrata per dare maggior stabilità alla figura. Il gusto e i tratti stilistici, oltre che il sito di ritrovamento, consentono di assegnare l’esecuzione ad uno scultore di età Flavia del I secolo d.C., che replica un prototipo greco del IV sec. a.C, derivato da modelli figurativi di Prassitele, forse riconducibile ad uno dei pochi maestri di cui l’antichità romana abbia tramandato il nome, quel Rabirio, cui le fonti attribuiscono la paternità decorativa degli ambienti di rappresentanza del Palazzo di Domiziano.