- Titolo: Scena di stregoneria
- Autore: Anonimo
- Data: 1680 circa
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 93 x 133
- Provenienza: Parma, collezione Sanvitale, 1834
- Inventario: GN 224
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il dipinto compare già nell’inventario del 1710 della Galleria Sanvitale, steso da Antonio Orlandi: “Uno stregozzo di Guido Cagnacci di Castel Durante scudi 100”.
L’alta stima, l’ottima provenienza, il prestigio del catalogatore, l’attribuzione altisonante impongono sull’opera un’attenzione che la sua pittura, benché ripugnante, in effetti non delude. Infatti, nell’ambientazione notturna, si compie un macabro rito di stregoneria, con tutta la più scontata iconografia del caso, che tuttavia è sempre d’effetto.
A partire dal bimbo sgozzato sul tavolo fino al rospo e alla testa emergente del caprone nero, sicura immagine demoniaca, che è anche indubbiamente il più bel pezzo di pittura della tela. Nel chiarore della notte di luna s’intuisce nel fondo una forca con un impiccato e l’ombra d’un uomo vicino.
La vecchia strega nuda a mezzobusto, con le braccia aperte in un gesto melodrammatico, tiene in una mano un pugnale e nell’altra il cuore del bambino. A lato, ugualmente nuda, è la giovane beneficiaria del rito.
Sarebbe estremamente interessante conoscere, accanto al nome dell’autore, quello del primo originale committente, che dovette precisare le richieste dei particolari iconografici, se esso non fu appunto un Sanvitale. Un dipinto del genere tuttavia non dovette avere frequenti passaggi allo scoperto sul mercato, anche con la sonnacchiosa Inquisizione di tardo ’600. Al di là dell’aspetto truculento, che sembrerebbe più consono allo spirito del tenebrismo veneto, se non ai suoi ascendenti napoletani, la composizione presenta la stregoneria scenografica, scoperta, addirittura al tramonto, della cultura seicentesca, quella dei quadri di Heintz e Salvator Rosa, non più quella veramente misteriosa di Bosch né ancora quella intellettuale di Tiepolo o profondamente demenziale di Goya.
L’attribuzione antica a Cagnacci non trova elementi stilistici particolari per essere confermata; sembra in ogni caso indicativa di un possibile riferimento all’ambito emiliano, leggibile tuttavia con qualche probabilità solo nella figura femminile giovane, d’ispirazione vagamente cignanesca. Anche la datazione del dipinto è ipotizzabile solo insieme alle possibili proposte attributive. Di esso si può dire con certezza solo che risale a prima del 1710, abbastanza tempo per perdere la nozione del nome del pittore che l’ha eseguito ma non tanto da non essere in parallelo ai primi fatti pittorici di Cignani, di Giordano, di Pietro Bellotti e a quelli dell’ultimo Cairo. Forse proprio l’eccezionalità tematica tiene in ombra i raffronti con la produzione “insospettabile” di un artista, che sembra, per qualità pittoriche, tutt’altro che secondario.