La carriera del Boselli è segnata dal rapporto privilegiato con due importanti famiglie dell’aristocrazia terriera parmense, i Sanvitale di Fontanellato e i Meli Lupi di Soragna, entrambe caratterizzate tradizionalmente da un ruolo di mecenatismo culturale nel ducato che le porta, se non a competere con i Farnese, certo a distinguersi nel panorama della società e cultura locale.

Pittore ufficiale di casa Sanvitale alla Rocca di Fontanellato fra il 1681 e il 1700 circa, viene incaricato dal conte Alessandro (1664-1727) della decorazione di un teatro che – pare su disegno dello stesso conte – si stava allestendo poco lontano dal castello. Per questo incarico forse gli giova la parentela, ne aveva sposato la sorella, con l’architetto e pittore Carlo Virginio Draghi, che nel 1673 era stato nominato direttore del teatro di Parma (quasi una tradizione: il figlio di Felice, Orazio, sposerà, ante 1699, la cognata del più famoso Ferdinando Galli Bibbiena). Di questa attività di frescante del piacentino, data la scomparsa dell’edificio intorno al 1875, restano alcuni frammenti (che denotano, non a caso, una stretta derivazione dal Parmigianino) conservati presso il Museo della Rocca, mentre un’accurata descrizione del complesso iconografico è reperibile nel Ragguaglio della Rocca di Fontanellato dell’erudito Carlo Giuseppe Fontana (compreso in Pallade segretaria, 1696, pp. 373-380, riproposto da Bocchia Casoni 1964, I, pp. 32-35), che rivela la vastità dell’impresa; gli è stato inoltre restituito il fregio decorativo con trionfi floreali della Sala di Ricevimento (Ghidiglia Quintavalle 1951, pp. 30-31).

Per quanto riguarda invece la sua produzione più nota, gli Inventari di casa Sanvitale (Arisi 1995, pp. 282-289), raccontano che nel 1702 i dipinti del Boselli nella Rocca sono trentacinque, mentre nella residenza di Parma ce ne sono altri venti (tuttavia soprattutto fiori e ritratti), mentre nel 1715 i dipinti inventariati sono più di settanta, numeri che ci aiutano, ancora vivo l’artista, a quantificare la sua produzione, molto consistente se non esclusiva direi, per i suoi mecenati. Di tale vasta attività restano, sicuramente identificati, quattro grandi tele ancora nel Museo di Fontanellato, e le nostre due arrivate in Galleria con l’acquisto della collezione Sanvitale nel 1834. Va inoltre segnalato il tentativo di Ferdinando Arisi (nella monografia dedicata al Boselli nel 1973, poi ripresa nel 1995) di individuare, sulla base della descrizione inventariale purtroppo perlopiù molto sommaria, altre opere di provenienza Sanvitale, vendute nel tempo dalla famiglia ben prima e ben dopo la vendita del 1834, e oggi collocate prevalentemente in collezioni private. Il pendant in questione, cui il desueto formato verticale fa supporre una destinazione d’arredo tra due finestre, risulta citato in un inventario degli inizi dell’800 (reso noto da Arisi 1973, pp. 248-249), mentre nella Descrizione della Galleria Sanvitale di Filippo Morini (1830) si parla genericamente di “Due Boselli a scelta”, che tornano, nel Catalogo (1835) che accompagna l’atto di consegna, ai nn. 99 e 100 con puntuale e riscontrabile descrizione ma con l’attribuzione a “Boselli figlio”. Stravagante ma non tanto, tale nota, se si consideri l’attività di collaborazione del figlio Orazio col padre (cfr. Scarabelli Zunti fine del XIX secolo, Documenti…, f. 37) e più che probabile, data la sua attività documentata di quadraturista e scenografo, nello sfondato prospettico archeologico che caratterizza l’inv. 775, ma comunque da considerare più in termini identificativi, nel senso delle opere, che modernamente attributivi, nel senso dell’autore. La provenienza stessa in ogni caso, la vicinanza stilistica e tematica, le figure dei fanciulli dell’ortolana e del vecchio infatti sono vere e proprie riprese così come l’atmosfera dei paesaggi serotini, con il secondo gruppo di ovati eseguiti per la Rocca di Soragna e documentati al 1708 (Arisi 1973, pp. 235-239, figg. 383, 384, 386), concorrono a una datazione intorno al 1710.

L’inserimento di figure, veri e propri personaggi con una funzione larvatamente narrativa, le qualifica come scene di mercato, da un lato certo memori della tradizione fiamminga, alla Daniel Seghers o Frans Snyders, e poi cremonese del genere (senza dimenticare che già Pier Francesco Cittadini usava intrecciare i repertori, fra ostensione di alimenti e fiori, e paesaggi con inserti figurali), dall’altro, e in termini più pertinenti e contemporanei, in consonanza con la diffusione e la vera e propria moda delle “bambocciate”, le scenette di vita popolare sul tipo di quelle del Todeschini (rispetto alle quali Morandotti, in La natura… 1989, I, p. 288, segnala precise influenze sul ciclo di Soragna), di gran voga allora a Milano, dove l’artista si era formato e con la quale aveva certamente mantenuto dei legami se non altro di mercato, tra la fine del secolo e i primi decenni del ’700. Tant’è vero che proprio in questi lavori si percepiscono influenze dell’ambiente milanese e lombardo, in particolare, come è stato notato, di Angelo Maria Crivelli detto il Crivellone, soprattutto per un certo gusto di animazione narrativa ottenuto anche grazie alla presenza di animali vivi (il gallo, il cane, il colombo eccetera), un rapporto che sarà poi confermato anche da una collaborazione nella bottega del piacentino del figlio Giovanni Crivelli, detto il Crivellino (cfr. Morandotti, in La natura…, 1989, I, p. 300). Come sempre, soprattutto nelle opere di committenza Sanvitale (è un debito di riconoscenza, un omaggio ai mecenati?), Boselli non rinuncia a quelle che sono le sue sigle: i simboli beneauguranti, la colomba con spiga e il porcellino d’India, e ancora (cfr. scheda n. 614) la civetta. La sua pittura pastosa diviene sempre più filamentosa in questi lavori della maturità, lavorando soprattutto coi chiari sul fondo scuro, il che rende la superficie addirittura fibrillante e stillante di materia, un utilizzo della pasta cromatica che in parte è sempre stata sua specificità, ma la cui accentuazione rivela la ricezione della novità e qualità di un Crespi, e la comprensione almeno operativa di quel nuovo stile più “brillante” ma “vero”, di quel “vedere di tocco” che caratterizza il nuovo secolo che si è aperto.

Bibliografia
Ricci 1896, p. 355;
Quintavalle  A.O. 1939, pp. 231-232;
Ghidiglia Quintavalle 1961, pp. 111-112;
Ghidiglia Quintavalle 1971a, p. 236;
Arisi 1973, p. 250;
Fornari Schianchi s.d. (ma 1983), p. 172;
Biagi Maino 1989, p. 398;
Arisi 1995, p. 287
Restauri
1957-58
Scheda di Luisa Viola, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.