- Titolo: Sant’Elena e la prova della Croce
- Autore: Sigismondo Caula
- Data:
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 65 x 52
- Provenienza: dono del professor Giuliano Briganti, 1967
- Inventario: GN 1886
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Seppur non menzionato dalle fonti, il piccolo dipinto è quasi certamente il bozzetto di una perduta pala d’altare eseguita da Sigismondo Caula per la distrutta chiesa di San Pietro martire a Modena.
È la Lugli (1980, 1986) a prospettare per prima questa ipotesi, suffragandola con la descrizione del dipinto perduto, fornita da Lazzarelli (Lazzarelli 1714, ed. cons. 1982, p. 45), che così recita: “Sant’Elena madre di Costantino imperatore, quando ebbe ritrovato la Croce di Cristo, essendo la santa inginocchiata, mirando attonita risuscitar il morto pel contatto della Croce, con altre figure….”. Sempre la Lugli (1980) segnala l’esistenza, presso l’Albertina di Vienna, di un disegno molto simile al bozzetto di Parma, già ritenuto di Bartolomeo Schedoni, ma stilisticamente accostabile ad altre prove grafiche di Caula.
L’intensa e multiforme attività artistica del pittore modenese (cfr. Lugli 1979, pp. 543-545; Lugli 1980; Roli 1989; Mazza 1993b, pp. 339-345) si sviluppa tutta entro i confini del ducato estense, grazie a importanti e impegnative commissioni sia ecclesiastiche che di corte. Dopo una prima formazione accanto a Jean Boulanger, dal quale mutua una propensione per l’eleganza delle forme e dei ritmi che non abbandonerà neppure nelle opere della piena maturità e indipendenza stilistica, Caula si reca a Venezia (a giudizio della Lugli negli anni fra il 1667 e il 1670) e qui matura un’adesione al linguaggio artistico della città lagunare che caratterizzerà tutta la sua lunga carriera e che lo renderà una figura singolare nel panorama della cultura figurativa modenese del secondo ’600, prevalentemente orientata sul ductus bolognese.
Diversi studiosi (cfr. Lugli 1980; Roli 1989; Mazza 1993b, p. 340) hanno evidenziato come “questo voler guardare ai veneziani contemporanei, ma soprattutto a quelli del grande secolo precedente e in particolare Veronese e Tintoretto, derivi al Caula da una tendenza di gusto del collezionismo di corte, molto orientato… verso la pittura veneta” (Lugli 1986). Può essere suggestivo pensare che sulla “scelta” veneta del trentenne Caula abbia avuto peso il desiderio di collocarsi, all’interno della cerchia di artisti attivi per la corte, in una posizione altra e quindi non subalterna rispetto, per esempio, a Francesco Stringa (1635-1709), solido seguace della grande tradizione bolognese e direttore già nel 1661 della Ducale Galleria estense.
Anche nel bozzetto di Parma gli accenti lagunari sono fortemente dominanti: l’inquadratura e l’impianto compositivo denunciano, infatti, un’ascendenza veronesiana, così come l’allungamento delle figure, il dinamismo delle pose, la pennellata breve e inquieta, i contrasti luministici rimandano certo a Tintoretto, ma anche ai seicentisti veneti. Quanto alla datazione del dipinto la Lugli (1980, 1986) e Roli (1989) propendono, convincentemente, per gli ultimi anni del XVII secolo o per i primi del successivo: entrambi gli studiosi, infatti, evidenziano un segno più movimentato, sicuro, spezzato, in una parola più barocchetto rispetto a quello che caratterizzava le opere degli Anni ottanta (si vedano i Profeti nei pennacchi della cupola del santuario di Fiorano, il San Carlo Borromeo che comunica gli appestati del Museo Civico di Carpi, il Martirio di sant’Ignazio del santuario di Bastiglia) e una tendenza al recupero della grazia ed eleganza formale appresa in gioventù da Boulanger riscontrabile nelle prove di fine secolo (Crocifisso, nella parrocchiale di Fabbrico).