- Titolo: Sant’Apollonia
- Autore: Giuseppe Tonelli (attribuito a)
- Data:
- Tecnica: Olio su tavola ottagona, riquadrata
- Dimensioni: cm 44,8 x 34,2
- Provenienza: collezione Boscoli (?)
- Inventario: GN 544/12
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Arte in Lombardia e in Italia centrale 1600-1700
Riunite in gruppi di tre in quattro cornici, le dodici sante poterono far parte della dotazione di un monastero femminile.
L’identificazione di alcuni dei personaggi, fatta dall’inventariatore ottocentesco, è tutt’altro che certa: se non vi sono dubbi per Margherita (col drago), Agnese (con l’agnello), Lucia (cogli occhi su un’alzata), Agata (con un taglio sulle mammelle), Caterina d’Alessandria (con la ruota dentata), Cecilia (con l’organo) e Apollonia (col dente nella tenaglia), santa Bibiana non è l’unica martire con una colonna, la santa domenicana è difficilmente, come si dichiara, santa Rosa da Lima che non è mai raffigurata coronata di spine ma piuttosto Caterina da Siena, e per le ultime tre il Ricci onestamente riconosce che gli attributi (la ruota per Anastasia, spada e corona per Martina, lancia o pugnale per Tecla) sono propri anche di altre sante, ma meno note o non presenti nelle litanie o nel canone della Messa).
Ma l’identificazione verrebbe piuttosto dalla definizione della scuola pittorica cui appartengono i dodici quadretti; essi portano tradizionalmente, ma non si sa perché, il cognome Tonelli, che si adatta sia a un aiuto parmigiano di Correggio e Rondani in San Giovanni Evangelista, di nome Alberto (1496-1540) sia a un Giuseppe fiorentino del tardo ’600 e primo ’700, oggi noto esclusivamente come frescante e prospettico (ma che ebbe un fratello Ottavio e un nipote Domenico pure pittori, nonché un’Anna ritrattista per turisti inglesi nella seconda metà del ’700 di cui non si conosce il grado di parentela). Nell’inventario del 1852 vi è anche l’ipotesi di una lettura “Torrelli”, nome non attestato per pittori.
Ora, anche se il marcato correggismo delle dodici teste potrebbe far pendere la bilancia verso la Parma del ’500, la scioltezza del tocco e la disossata morbidezza delle carni e delle stoffe pur sopra una solida struttura anatomica può condurre verso la Firenze degli Anni settanta-ottanta del ’600, memore delle mollezze furiniane, delle ricchezze d’ornato di Onorio Marinari e ammaestrata sull’importanza del Correggio (come ben vide Livio Mehus) per traghettare la pittura dal più maestoso e solido barocco alle leggerezze del Rococò: vi sono nelle raccolte medicee esercitazioni di quest’epoca su suoi originali come i putti entro ovati di verzura della Camera di San Paolo (cfr. Meloni 1997, p. 43, nota 12). Inoltre la formazione di Giuseppe si svolse sia a Firenze che a Bologna: ma, ripeto, di lui non si conoscono dipinti di figura.
Se le dodici tavolette sono fiorentine, le sante raffigurate potrebbero essere titolari di monasteri femminili cittadini, come infatti sono Caterina da Siena (domenicane), Lucia (agostiniane), Agata (camaldolesi), Caterina d’Alessandria (vari ordini), Apollonia (benedettine) o anche di chiese non monacali a dedicazione femminile (Agnese, Cecilia e Margherita); ne mancano però di importanti (Chiara, Felicita, Maria Maddalena de’ Pazzi, Monica, Orsola, Teresa, Verdiana) non identificabili con queste: e resterebbero comunque fuori Anastasia, Bibiana, Martina e Tecla, difficilmente intercambiabili con Cristina, Felicita, Reparata o Marta che hanno talora gli stessi simboli (rispettivamente la ruota, la colonna, la spada). Ma potrebbero essere sante le cui reliquie erano conservate in uno stesso luogo, o altro che oggi ci sfugge.
Negli inventari dal 1852 in poi non è mai data la provenienza delle tavolette: che non sembra, come si potrebbe pensare, la collezione Tacoli Canacci fonte di molte opere fiorentine della Pinacoteca. Nella scheda viene indicata una possibile identificazione con “dodici teste… di mano del Cavedone” citate nell’inventario del 1690 della collezione Boscoli pubblicato dal Campori (1870, p. 379), senza badare che erano non su tavola ma “sopra la carta incollata sopra la tela con cornice” e non se ne specifica né il formato ottagono né il raggruppamento a tre per tre.