• Titolo: Sant’Antonio in adorazione del Crocifisso, e il committente
  • Autore: Felice Brusasorci
  • Data: 1600
  • Tecnica: Olio su tela
  • Dimensioni: cm 97,5 x 81
  • Provenienza: Firenze, mercato antiquario, 1964
  • Inventario: GN1500
  • Genere: Pittura
  • Museo: Galleria Nazionale
  • Sezione espositiva: Deposito

Il dipinto versa in discreto stato di conservazione.

Nulla si conosce della sua storia antica, prima dell’ingresso nella Galleria Nazionale avvenuto nel 1964 a seguito dell’acquisto per 240 mila lire presso l’antiquario Martini di Firenze. Allora il dipinto era riferito a Gerolamo Muziano come conferma anche un’etichetta piuttosto recente tuttora sul telaio moderno. L’attribuzione fu però sostituita dalla Ghidiglia Quintavalle con quella in favore di Agostino Carracci e resa nota fra le segnalazioni degli acquisti del Ministero comparse sul “Bollettino d’Arte” nel 1964: “Il quadro, di grande interesse per le collezioni emiliane, documenta il periodo posteriore a quello veneto e, nei putti volanti, come nel paesaggio e nella realistica figura dell’orante, riflette la Comunione di san Gerolamo della Pinacoteca di Bologna, mentre il committente riflette la ‘singolare quotidianità’ della ‘Famiglia Tacconi’ di Ludovico” (Ghidiglia Quintavalle 1964a). Analogo commento compare nel catalogo del 1968 (Ghidiglia Quintavalle 1968d).

In seguito la proposta non sembra essere stata verificata da parte della critica; ma la stessa esclusione dal dibattito degli studi – in realtà molto intenso e incrociato – che negli ultimi venti-trent’anni ha riguardato l’attività e il ruolo dei Carracci è già di per sé indizio di un certo scetticismo.

In effetti l’ipotesi carraccesca non è condivisibile, anche se, specie per la connotazione naturalistica del ritratto, la componente emiliana del dipinto appare piuttosto marcata. Ci si chiede piuttosto se l’ascendente veneto che la Ghidiglia Quintavalle ha messo in giusto risalto non stia a indicare, in luogo della fase postveneziana di Agostino Carracci, la mano di un artista veneto di terraferma, attento alla circolazione padana di una cultura figurativa che si alimentava delle novità veneziane come di quelle emiliane e ferraresi. Numerosi indizi di natura stilistica avvicinano questo dipinto alla cultura figurativa veronese degli anni a cavallo fra ’500 e ’600 e in particolare alla figura di Felice Brusasorci, figlio di Domenico che era stato attivo tanto a Verona quanto a Mantova e a Vicenza (Magagnato 1974, pp. 51-78).

Non è un caso che proprio ad Agostino e ad Annibale Carracci siano stati riferiti dipinti che si sono poi dimostrati convincentemente opere dei Brusasorci; ad esempio il noto Suicidio di Cleopatra ora nella Galleria della Cassa di Risparmio di Cesena, per lungo tempo riferito autorevolmente ad Agostino Carracci e in realtà di Domenico Brusasorci, e il Ritratto di gentiluomo della collezione Durazzo Pallavicini di Genova che già dal ’700 era ritenuto concordemente di Annibale Carracci, ma che ora appare comprensibilmente del momento finale di Felice Brusasorci. Anche l’opera qui esaminata, della quale si apprezza il notevole livello qualitativo tanto nella resa del paesaggio quanto nel ritratto e nella costruzione della figura del santo andrà riferita a questo artista – come conferma Sergio Marinelli (com. or.) – alla sua attività estrema, in prossimità della pala dei Cappuccini di Bolzano firmata e datata 1600 (Scarmagnan, in Spada Pintarelli 1994, pp. 145-146). Si potrebbero istituire relazioni anche con un’altra pala da riferire all’artista, la Disputa del santissimo Sacramento della chiesa di Santa Maria Assunta di Tione attualmente attribuita a “Pittore veneto della fine del secolo XVI” (Mich 1993-94 [ma 1997], pp.225-226, 229 fig. 21).

Il santo occupa il fulcro dell’immagine nella sua disposizione diagonale proseguita dall’angelo in volo, figura tipica del pittore, presente ad esempio fra gli angiolini nell’Annunciazione di Lazise; l’impostazione del volto di sant’Antonio asseconda nella sua inclinazione il ritmo circolare della grafica di Paolo Farinati; mentre il paesaggio nordicizzante che si estende in salita sull’intero dipinto ricorda quello della Comunione della Maddalena del Museo di Castelvecchio o della pala nella parrocchiale di Castelnuovo ed è mosso da giochi di masse in controluce, specie dalla macchia scura dietro il santo che separa i due cannocchiali prospettici della veduta del borgo in alto a destra e del brano in lontananza a sinistra. La componente naturalistica si concentra nel ritratto del committente il cui volto è reso con un impasto ricco e cromaticamente modulato e indaga fra le pagine in ombra del libro aperto tenute sollevate dalla rigida pergamena non diversamente dal libro che san Francesco stringe maldestramente con la mano sinistra nella citata pala di Bolzano.

Scheda di Angelo Mazza tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.