- Titolo: Santa Felicita assiste al martirio dei sette figli
- Autore: Pier Antonio Bernabei
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- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 198 x 139
- Provenienza: Parma, chiesa di San Giovanni Evangelista
- Inventario: GN 146
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Arte a Parma 1500-1600
La provenienza di questa paletta non è riportata nei registri inventariali e la sua presenza nella Galleria Nazionale è segnata per la prima volta nell’Inventario generale del 1874 (n. 146) come l’Eterno Padre, Nostra Donna e santa Chiara e subito dopo nel catalogo di Martini (1875, p. 12) dove l’identica descrizione è accompagnata dal riferimento a “Scuola Parmigiana, dal 1500 al 1600”.
Solo più avanti, con il catalogo di Ricci (1896, p. 162) e il nuovo Inventario generale, la descrizione del soggetto si amplia, tanto da includere Sant’Orsola e altri santi. In realtà l’episodio raffigurato non ha nulla a che spartire con santa Chiara, così come il martirio dei giovani non mostra rapporti con quello di sant’Orsola e delle compagne vergini.
La donna anziana che, inginocchiata a sinistra, alza lo sguardo al cielo per lo strazio dell’uccisione dei docili ragazzi, alcuni dei quali in attesa del martirio, è infatti da riconoscere – come hanno puntualmente osservato Cirillo e Godi (1986, II, p. 14) – in santa Felicita che, professatasi cristiana, ha convinto i sette figli a non desistere dalla fede. Uno di questi è già stato ucciso ed è riverso a terra, un altro riceve in gola il mortale colpo di spada, altri quattro sono inginocchiati, pronti per la prova eroica, mentre il settimo, Silano, viene scaraventato nel burrone (lo si intravede in lontananza, minuscolo, al centro del dipinto). Un angiolino porta una piccola palma a Felicita che, martirizzata sette volte per la strage dei figli, verrà decapitata. A volte la santa è raffigurata con le teste dei sette figli, in altri casi, come in questo dipinto e nella celebre tela di Lorenzo Garbieri della chiesa dei Santi Maurizio e Margherita di Mantova, compare in abiti vedovili mentre affronta con dignità e coraggio lo spettacolo straziante del massacro della famiglia (per l’iconografia cfr. Celletti 1964, coll. 608-611).
La soluzione del quesito attributivo può considerarsi raggiunta grazie all’incontro complementare di due distinte osservazioni. Il dipinto è stato inserito infatti da Cirillo – Godi (1986, p. 14) in un gruppo di opere comprendente “una Madonna col Bimbo e le sante Caterina e Agnese in gloria, coi santi Gerolamo e Bernardino Abate in San Giovanni Evangelista, … la Fuga in Egitto (ascritta erroneamente al Tinti) in Pinacoteca; nonché gli affreschi strappati con Adamo ed Eva e l’Annunciazione, e quelli nella volta della sagrestia in Certosa (attribuiti al Tinti)” quale materiale di studio per la ridefinizione del catalogo di Pier Antonio Bernabei, del fratello di questi, Alessandro, e del suo collaboratore Giovan Maria Conti. Inoltre una provvidenziale segnalazione di Stefania Colla (com. or.) ha attirato l’attenzione sulla notizia registrata in un repertorio di documenti del monastero di San Giovanni Evangelista di Parma circa il pagamento di lire 146 nel 1615 per “il quadro del martirio di Felicita a M.° Pietro Antonio” (ASP, Fondo Conventi, serie XIII, San Giovanni Evangelista, b. 118, fasc. Fabbriche e abbellimenti, sotto l’anno 1615; in un altro repertorio si legge nuovamente che nel 1615 “fu dipinto il quadro del martirio dei figli di S. Felicita de M.° Pietro Antonio”). La notizia è ripresa da Affò in un manoscritto della Biblioteca Palatina (Parm. 1599) nel quale viene ricordato, insieme al quadro del Martirio di santa Felicita “che era al suo altare”, un altro dipinto eseguito sempre da Pier Antonio Bernabei per la cappella dei Santi Dottori nella medesima chiesa, anche questo, come l’altro, già allora non più nella collocazione originaria. I pagamenti non sono sfuggiti a Baistrocchi – Sanseverino (ms. 129, fine del XVIII secolo, p. 76v) i quali hanno riportato, più dettagliatamente, che l’“abate Ceresa l’anno 1614 fece pur pingere due Quadri l’uno rappresenta i principali Dottori di S. Chiesa, l’altro il martirio di S. Felicita e de suoi figli. L’autore fu Pietrantonio Macabeo detto della Casa Parmigiano e singolarmente conosciuto per la bella cupola della Chiesa de PP. del Terzordine detta la B. V. del Quartiere. Questi due quadri in oggi sono nel Camerone della Sagristia, e sono di bella maniera e di buon colorito”.
La rarità del soggetto e la pertinenza stilistica convincono della plausibilità dell’identificazione della paletta della Galleria Nazionale con l’opera commissionata dall’abate Ceresa. In effetti favorevole risulta il confronto con alcuni affreschi eseguiti dall’artista parmense, in particolare con quelli del catino absidale, dell’arcone e della cupola della chiesa di Santa Maria dei Servi a Parma commissionati nel 1611 e conclusi da Pier Antonio Bernabei due anni dopo (Masnovo 1909, pp. 25, 37-43; Fornari Schianchi 1993, pp. 42-45), e forse più ancora con quelli della cupola della chiesa di Santa Maria del Quartiere, sempre a Parma (Masnovo 1909, pp. 43-56; Fornari Schianchi 1993, pp. 48-50).
E tuttavia lo stile del dipinto della Galleria Nazionale, ora ben giudicabile dopo il restauro, si rivela del tutto coincidente con quello delle due tele con Mosè e Aronne sempre della Galleria Nazionale (inv. 136 e 135, cfr. II volume, scheda n. 362) (Ghidiglia Quintavalle, in Arte in Emilia 1960-61…, pp. 94-95) che già nel 1896 Ricci considerava del pittore parmense Fortunato Gatti cui viene attribuita a partire dal ’700 la pala con la Madonna col Bambino e i santi Bernardo da Chiaravalle e Basilio già nella chiesa di San Basilide di Parma e anch’essa confluita in Galleria (inv. 61, cfr. II volume, scheda n. 361), eseguita nel 1648 secondo l’affermazione di Affò (1796, p. 105; per questi dipinti si veda ora Quagliotti, in Fornari Schianchi 1998a, pp. 202-203). La paletta qui esaminata e le due tele con Profeti risultano accomunate dalla medesima scelta cromatica, dal cangiante che accompagna la disposizione delle vesti alla luce, dal chiaroscuro che modula dolcemente le pieghe, dalle tipologie dei putti che si conformano alla morbidezza degli incarnati di Correggio.
In effetti ricorrono come costanti nelle opere di Pier Antonio Bernabei le graziose fisionomie dei putti, lo speciale trattamento dei capelli a ciocche separate e uniformi, il morbido chiaroscuro nelle pieghe delle vesti, le dolci espressioni correggesche dei visi e altri dati morfologici.
Si può aggiungere che i medesimi caratteri compaiono in un altro dipinto del tutto sconosciuto che si conserva nella chiesa parrocchiale di Gualtieri (Reggio Emilia) e che raffigura la Madonna e santa Caterina da Siena in adorazione del Santissimo Sacramento, opera riferita pertinentemente ad ambito parmense del primo quarto del XVII secolo (Maioli, Gualtieri, chiesa di S. Maria della Neve, scheda, 1994, Modena, Soprintendenza BAS di Modena e Reggio Emilia, Archivio Catalogo). Come nel dipinto qui esaminato, anche nella paletta di Gualtieri i dati di cultura rinviano alle opere di Giovan Battista Tinti e di Giovan Battista Trotti detto il Malosso e mostrano relazioni con alcuni pittori cremonesi dell’area dei Campi, ad esempio con Cristoforo Agosta (fa naturalmente eccezione la fascia inferiore con la raffigurazione delle anime purganti, aggiunta della metà del XVIII secolo presumibilmente da Giovanni Morini). A conferma del riferimento di quest’opera a Pier Antonio Bernabei intervengono il confronto tra la figura della Vergine e l’analoga immagine nell’affresco della cupola di Santa Maria del Quartiere, come pure la vicinanza estrema, anche di carattere tipologico oltre che compositivo, fra la Santa Caterina da Siena che vi è raffigurata e la Santa Monica nella tela della chiesa di San Sepolcro a Parma con i Santi Agostino e Monica eseguita da Bernabei nel 1621 (Lottici 1909, p. 426: Ferratini 1967, p. 137).