Tra i dipinti fiamminghi di soggetto religioso giunti in Galleria dalla collezione Sanvitale nel 1834 spicca la bella santa Cecilia di Denys Calvaert, pittore originario di Anversa che nel 1562 giunge in Italia e si stabilisce a Bologna.

Rifacendosi al modello della Santa Cecilia di Raffaello, l’artista fiammingo imposta la scena con la figura quasi intera che occupa tutto lo spazio e, abbandonati gli strumenti musicali dei quali ella è protettrice, volge la mano e lo sguardo, con i grandi occhi scuri, al cielo, con un’espressione che sfiora quasi il languore.
Nella parte superiore, sospeso sulle nubi illuminate dallo squarcio di luce divina, appare un coro di angeli, che riecheggia le invenzioni dei cieli di Correggio. La mano sinistra è appoggiata ad un piccolo organo, come se avesse appena lasciato la tastiera, mentre sulla destra si nota una straordinaria natura morta di strumenti musicali: una viola da gamba, un tamburello, un flauto e un triangolo.
Una prova complessa e di notevole qualità che evidenzia la maestria pittorica dell’artista. La flebile luce sulla sinistra che lascia intravedere un piccolo paesaggio è un dettaglio che riconduce alla prima attività del pittore come disegnatore di tali soggetti.

Nella Santa Cecilia di Parma e nella replica di Roma (Galleria Pallavicini) Calvaert si volge a un’interpretazione sensuale ed estatica secondo il nuovo ideale di pietà controriformista del tempo. La maniera molto accurata, la brillantezza delle tinte, i dettagli della natura morta, il paesaggio e la luce conferiscono un grande fascino a questa immagine potente e al tempo stesso languida.

La datazione dell’opera è stata proposta intorno al 1580, periodo in cui le opere dell’artista sono dominate dall’influenza di Raffaello e di Correggio.

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