Come già sottolineato da Ricci (1896) l’opera passò nella collezione Sanvitale con l’acquisto (nel 1690) della raccolta dei marchesi Boscoli, famiglia di nobiltà parmense legata ai Farnese (risulta infatti in Campori 1870).

Già nella collezione di provenienza passava per copia, mentre Pietro Martini (“la gaiezza del colorito e la soave composizione”, 1872) la giudica testo autentico tanto che nel 1874 era esposto insieme alla testina di Leonardo nella “camera di S. Placido”, cioè insieme ad alcune delle opere più prestigiose della Galleria. Mentre Ricci, elencando tutta una serie di cadute stilistiche, conferma il carattere di derivazione, il Quintavalle (1939) ne propone una rivalutazione e, confrontandola con la tela identica di Vienna, giudica la nostra di migliore qualità, eventualmente replica e non copia. Più recentemente (1968), anche sulla base del restauro e della identificazione del prototipo originale nell’esemplare di Francoforte, la Ghidiglia Quintavalle la attribuisce ad ambito cinquecentesco parmense. Effettivamente, rispetto a quello (Stadel Kunstinstitut, inv. 1496), se le misure sono praticamente identiche, il nostro esemplare rivela però un accentuato assottigliarsi delle forme, un’eleganza patinata nei colori freddi, ma soprattutto una palese dipendenza fra la Santa Caterina e la figura di Paola Gonzaga negli affreschi di Fontanellato (la torsione del corpo che mette in evidenza l’ampia scollatura, la forma del viso dalle palpebre abbassate, persino la foggia delle maniche…). Elementi che se da un lato confermano l’attribuzione del prototipo al periodo giovanile e parmense del pittore, dall’altro sottolineano la pertinenza assolutamente locale della nostra tavoletta entro la metà del ’500.

Scheda di Luisa Viola da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.