Le vicende legate al dipinto iniziano nel 1833, quando viene presentato per la prima volta, da Vittoria Giustiniani Ferrari, come opera di van Dyck, all’Accademia di Belle Arti (Atti… 1825-1838, c. 155), che però non procede all’acquisto e mette in dubbio l’ascrizione al pittore fiammingo.

Passano sei anni e il dipinto è riproposto, con la medesima attribuzione, da Domenico Gruzza (Atti… 1839-1846, c. 11) e questa volta, con atto sovrano, il quadro entra a far parte delle collezioni, mantenendo l’assegnazione a van Dyck.

Ricci è il primo a riconsiderare il problema attributivo, proponendo il nome di Carlo Francesco Nuvolone, che viene concordemente accolto nei cataloghi successivi. Lo studioso contestualmente esamina l’iconografia del soggetto, che “…se non avesse l’aureola e la ferita sul costato, il costume e il tipo fisionomico lo farebbero passare non per un santo, ma per un semplice ritratto. E ritratto deve essere infatti di persona devota di quel santo che gli si è voluto come impersonare” (Ricci 1896, p. 35). Osservazioni più che motivate per la tipologia del dipinto, ma che purtroppo non trovano facili aggrappi nelle vicende collezionistiche del quadro, di cui troppo poco si conosce per giungere a una identificazione precisa del personaggio.

Questi infatti appare ben connotato nell’aspetto fisionomico, reso con pennellata vigorosa e delicati trapassi cromatici, nell’indagine psicologica dell’espressione fiera e dello sguardo intenso. Lo sfarzoso abbigliamento contemporaneo è raccontato con grande attenzione ai dettagli come i pizzi che rifiniscono il collo e i polsi della camicia, la sericità del farsetto, sulla cui manica gli effetti di luce sembrano trasformarsi in bagliori, e l’alta fascia blu ornata da gigli dorati che si conclude con una nocca sulla schiena del personaggio. Forse proprio questo dettaglio potrebbe aiutare a sciogliere le questioni relative all’identificazione di questo gentiluomo, che si porge all’osservatore in maniera così vitale e immediata.

Il dipinto è privo di qualsiasi aura sacrale, mentre s’impongono le caratteristiche del ritratto anche nella posa e nell’atteggiamento del personaggio al cui casato potrebbe alludere la decorazione della fascia. L’aureola che cinge il capo del soggetto è infatti risolta con un sottile anello dorato, mentre un accenno al martirio di san Maurizio è alluso dalle gocce di sangue che stillano dalla ferita e macchiano di rosso il farsetto, creando peraltro un precedente iconografico piuttosto originale. Straordinario è il rilievo espressivo e pittorico della mano, che il pittore rende con descrittività epidermica facendola emergere dall’ombra dello sfondo.

Nel dipinto risulta evidente la matrice lombarda di Nuvolone, che formatosi nell’ambiente del Cerano, di Giulio Cesare Procaccini, trova nella sensibilità esecutiva uno degli aspetti maggiormente apprezzati dalla committenza. Purtroppo la sua attività di ritrattista è ancora poco studiata, anche se le fonti riportano che Nuvolone è stato eccellente interprete delle maggiori casate lombarde e la sua fama era tale che la futura regina di Spagna, passando per Milano nel 1649, aveva voluto un ritratto di sua mano (Orlandi 1704, p. 306). Il dipinto della Galleria dovrebbe essere quasi contemporaneo a quello perduto di Marianna d’Austria: per la datazione intorno alla metà del secolo risulta proficuo il confronto con il ritratto di un principe d’Austria, già in collezione Archinto, datato 1556, in cui l’artista adotta soluzioni stilistiche e formali piuttosto simili al nostro, nonché con quello del capitano Giovanni Visconti in collezione privata milanese attribuito al Nuvolone da Moro (1998, p. 204).

Ulteriore conferma è data dal raffronto con il ritratto della famiglia del pittore di Brera (Inv. Nap. 837; Inv. Gen. 344; Reg. Cron. 484) e segnatamente con il personaggio, ritenuto il fratello dell’artista, impegnato a suonare il liuto in cui si ritrovano le tonalità temperate, la morbidezza e l’armonia che informano san Maurizio. Nella temperie culturale della metà del ’600, segnata da pestilenze e da avvenimenti luttuosi, Nuvolone opta per soluzioni meno allucinate e tormentate del contemporaneo Francesco del Cairo, ma pienamente consapevoli di una valenza squisitamente umana che si ritrova anche nella vasta produzione religiosa dell’artista. Concetti promulgati agli inizi del secolo dal cardinale Federico Borromeo e che l’artista coniuga soprattutto nella produzione ritrattistica, con le moderne istanze proposte da artisti come van Dyck e Rubens offrendone un’interpretazione meno magniloquente e piuttosto improntata all’essenzialità e al decoro.

Bibliografia
Atti… 1825-1838, III, p. 155;
Atti… 1839-1846, IV, pp. 11, 14;
Pigorini 1887, p. 32;
Ricci 1896, p. 35;
Quintavalle A.O. 1939, pp. 198-199;
Moro 1998, p. 204
Scheda di Nicoletta Morettii, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicentoo, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.