Risulta dai documenti che l’elaborazione di questo secondo saggio fu a lungo meditata. Già nell’agosto del 1827, dopo la consegna della Madonna col Bambino (inv. 549; cfr. scheda precedente) il lavoro doveva essere impostato e Scaramuzza prometteva di inviarlo a breve termine da Roma, e faceva presente che gli costava non poco tempo, e comunque aveva motivo di essere soddisfatto secondo i giudizi di alcuni professori che avevano visto il suo quadro. Il lavoro restò interrotto però sino al marzo del 1828 come testimonia la lettera al Toschi: “Ho abbozzato il secondo soggetto per l’Accademia pel quale non ho saputo trovar meglio argomento di un S. Giovanni che predica nel deserto, che oltre il ritrovarlo di mio genio m’è paruto anche proprio per istudiare e per dimostrare tutto che mi potrò fare, essendo pressoché ignudo e di grandezza al naturale: fatto che avrò tutto questo se mi rimarrà tempo ritornerò a vedere, ed a studiare di nuovo le infinite maraviglie dell’arte che qui si trovano”.

Scaramuzza riponeva in quel saggio precise aspettative e cercava per questo conferme a Roma, dal momento che da Parma non aveva notizie sull’esito del saggio precedente, nel contempo però risulta che nel marzo del 1828 aveva già terminato un’opera d’invenzione, impaziente ormai di procedere con i suoi mezzi: “mi sono accinto a finire un Narciso, del quale m’ebbi costì la commissione, che come soggetto di mio genio faccio con piacere”. Il San Giovanni fu comunque consegnato nei tempi previsti e gli esaminatori “trovarono in esso prerogative bellissime e si avvidero de’ non lievi avanzamenti già fatti. Si notò invero dai più una certa consonanza d’invenzione col noto quadro di Raffaello in egual soggetto… fu concorde l’avviso di convertire il prolungamento della dimora d’altri 18 mesi”. Del San Giovanni di Raffaello, seduto di faccia sopra un sito pietroso che addita il cielo con l’indice, erano conosciute agli inizi dell’800 almeno quattro copie antiche, tutte aspiranti al titolo di originale, di cui una era appunto a Roma acquistata da Clemente XII (Zani XVIII-XIX secolo, p. 1418). Esistevano inoltre diverse traduzioni incisorie, e l’opera, con la sua composta anatomia, si prestava a essere presa a modello per qualche Apollo neoclassico. Nella sua versione Scaramuzza riprende l’ambientazione, la posa delle gambe, la torsione laterale del busto, pone nella mano del santo la Croce di bambù che Raffaello innestava a un ramo morente, drappeggia le gambe e la spalla di seta bianca in luogo della pelliccia e soprattutto, per questo suo saggio di nudo, ritrae un modello di qualche anno più vecchio rispetto a quello di Raffaello: un tipo maschile dai capelli neri ricciuti molto simile al giovane pastore di Silvia e Aminta (inv. 90; cfr. scheda successiva), e curiosamente anche al giovane alato raffigurato in Amore e Psiche (inv. 84; cfr. scheda n. 971) nel 1833. Sono evidenti i risultati degli studi di anatomia e in particolare quella che sarà una sua prerogativa, cioè l’espressività delle mani e dei piedi, acquisita sia nell’esercizio dal vero che in Vaticano (del resto i pittori del tempo asserivano che le figure di Raffaello erano modelli viventi). La resa naturale delle membra e l’espressione immediata dello stato d’animo dimostrano il distacco dai precetti accademici neoclassici e già segnalano l’avvicinamento alla riforma purista, anche per l’uso di tinte lucide e pulite, che staccano la figura dal fondo e accolgono la luce con effetti di trasparenza dovuti all’antico sistema delle velature.

Bibliografia
Carteggio… 12 agosto 1827;
Carteggio… 19 marzo e 8 dicembre 1828;
Atti… 18 ottobre 1828;
Pigorini 1887, p. 22;
Ricci 1896, p. 171;
Capelli – Dall’Olio 1974, p. 50;
Coghi Ruggiero 1986, p. 221;
Gizzi 1996, p. 297
Restauri
1969;
1996 (I. Agostinelli, Lab. Sopr.)
Mostre
Torre de’ Passeri (Pescara) 1996
Nicoletta Agazzi, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.