Le ricerche per rintracciare la provenienza e la data d’acquisizione del dipinto non hanno avuto esiti positivi. Il piccolo quadro, che non ha mai suscitato l’interesse della critica, tuttavia può essere considerato interessante, essendo una copia antica di un’invenzione pittorica ideata a Roma da Pierre Mignard detto “le Romain” e destinata al rinnovato altare Colonna nella chiesa dei Barnabiti in San Carlo ai Catinari, dove già dal 1622 si trovava il dipinto raffigurante San Carlo Borromeo in preghiera di Andrea Commodi (per la complessa questione cfr. Fagiolo dell’Arco 1994).

Il pittore francese concorse a questa impresa poco prima del 1657, anno in cui ritornò definitivamente in Francia, dopo un soggiorno romano iniziato nel 1635 e con l’appoggio dello scultore Orfeo Boselli, suo amico e ideatore del nuovo altare, presentò ai Colonna un progetto per la nuova tela, nota attraverso il bozzetto ritenuto autografo, conservato nel Musée des Beaux-Arts di Le Havre.

Pala che non dovette essere mai stata eseguita o per lo meno non collocata nella chiesa, come confidò lo stesso Mignard a Félibien (1666-1668) (Fagiolo dell’Arco 1994, p. 218, nota 4), se pochi anni dopo sullo stesso altare fu posta la tela con la Processione di san Carlo Borromeo con il Santo Chiodo di Pietro da Cortona (1661-1667), oggi ancora in loco (Anselmi 1996).

L’invenzione sviluppata da Pierre Mignard dovette suscitare comunque un particolare interesse iconografico se l’amico francese François de Poilly, presente a Roma fra il 1649 e il 1656, ne trasse in controparte ben due diversi stati d’incisione, già ricordate nel 1700 da Florent Le Comte (Boyer 1984; Ferro 1984, p. 280, nota 158) e se inoltre esistono alcuni disegni e derivazioni grafiche dallo stesso soggetto, considerate prove di artisti vari, indubbiamente elaborati sulla conoscenza del bozzetto e delle stampe, dato che nel 1731 l’abbé de Monville, sua prima fonte biografica, affermava che in quegli anni l’originale di Mignard già non era più rintracciabile (Boyer 1984, p. 23).

Sulla base delle conoscenze finora note, il nostro piccolo quadro, se pur inequivocabilmente una trascrizione puntuale dall’incisione, proposta però nel giusto verso, come possiamo verificare nel confronto con il bozzetto, assume nella complessa problematica di affermazione di un felice tema iconografico dedicato a san Carlo Borromeo, un valore non secondario, in quanto per i caratteri stilistici e pittorici deve essere datato alla seconda metà del ’600, quindi a ridosso dell’opera di Mignard.

Varie piccole varianti presenti nella nostra tela non ritornano nel bozzetto di Le Havre, specie il paesaggio nel fondo, compresi i barellieri con i corpi degli appestati (un’idea che era stata presa da Poussin), nonché il lembo della sottogonna della donna in primo piano, mentre li troviamo puntualizzati nelle incisioni di Poilly e inoltre in questa copia il rapporto spaziale fra i due angeli in volo con il turibolo e le figure sottostanti è minore.

È probabile che il nostro quadro derivi dalle stampe, ma dato che l’autore, presumibilmente emiliano, propone l’esatto verso della scena, sembra più logico supporre che avesse preso visione diretta dell’opera di Mignard e che si trovasse a Roma attorno al sesto decennio del ’600.

Il pittore parmense Mauro Oddi, figura eclettica noto anche come copista, stette a Roma sei anni presso Pietro da Cortona, in una data imprecisata, ma supposta prima del 1659 (Chirico 1981), ma pittoricamente il quadro non si avvicina alle sue opere, anche se la figura di san Carlo poteva essergli servita di esempio per la sua tela dedicata al Santo che distribuisce l’elemosina custodita nella chiesa parmense di San Vitale; mentre il dipinto richiama stilisticamente per l’impasto bituminoso e compatto, con il riaffiorare di una materia pittorica bruna dai contorni ripassati, in cui la luce cade netta sui piani dei volti e degli abiti, le tele dell’artista bolognese Emilio Taruffi, che con il Cignani fra il 1662 e il 1665 si trovava a dipingere a Roma non troppo distante, nella chiesa di Sant’Andrea della Valle.

Se l’incarico del dipinto a Mignard aveva sollevato un dibattito nell’ambiente artistico romano, tanto da portare i committenti a preferire Pietro da Cortona, è possibile che avesse suscitato la curiosità di altri pittori, come il Taruffi, sempre alla ricerca di modelli.

La proposta di attribuirgli questa copia si sostiene anche per le componenti formali delle tipologie dei volti, caratterizzati, rispetto al bozzetto di Le Havre, da una forte carica di “rude naturalismo” come possiamo confrontare con i suoi personaggi dipinti nelle due tele che eseguì a Parma verso il 1674 per la chiesa benedettina di San Giovanni Evangelista (Ceschi Lavagetto 1979), dove del resto sembra di avvertire nelle figure degli appestati a fianco di san Mauro e nell’organizzazione spaziale, echi di questa invenzione iconografica di Mignard. A testimoniare l’enorme successo di questo soggetto in area parmense è necessaria la tela, dipinta con la scena in controparte, dedotta senza dubbio dal repertorio grafico, conservata nella parrocchiale di Bianconese.

Bibliografia
Inedito
Restauri
1999 (Barbieri)
Scheda di Mariangela Giusto, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.