Il pietismo estatico di questo santo cappuccino segnala con assoluta evidenza una duplice virata in direzione neoconservatrice tanto nella produzione del Ferrari, diminuiscono in questi ultimi anni della sua vita peraltro segnati anche da personali dolori i ritratti dal vero, che nella cultura artistica del ducato, caratterizzata dalla crescita esponenziale delle committenze pubbliche e private di soggetti religiosi, di un cattolicesimo impegnato e, per così dire, seduttivo e neofeudale, alla Chateaubriand per intenderci.

Il pietismo estatico di questo santo cappuccino segnala con assoluta evidenza una duplice virata in direzione neoconservatrice tanto nella produzione del Ferrari, diminuiscono in questi ultimi anni della sua vita peraltro segnati anche da personali dolori i ritratti dal vero, che nella cultura artistica del ducato, caratterizzata dalla crescita esponenziale delle committenze pubbliche e private di soggetti religiosi, di un cattolicesimo impegnato e, per così dire, seduttivo e neofeudale, alla Chateaubriand per intenderci. Anche se proprio nel 1783 il Ferrari era stato nominato “ritrattista di Corte”, in sostituzione del maestro Baldrighi, ancora in attività ma evidentemente non più in auge, in realtà i nomi che spiccano nelle commissioni pubbliche sono quelli di Gaetano Callani, Antonio Bresciani, Domenico Muzzi, esponenti appunto di un classicismo religioso precocemente purista e scenograficamente accattivante. Non a caso dunque il nostro tondo si trovava, nella prima cappella a sinistra della chiesa dei Cappuccini, vis-à-vis con l’altro dedicato a San Lorenzo da Brindisi (inv. 91; cfr. scheda n. 835) di Gaetano Callani, databile intorno al 1783, anno di beatificazione del cappuccino. Il santo palermitano invece era stato beatificato nel 1768 da Clemente XII, e l’immagine a lui dedicata risulta citata per la prima volta nel 1780 (Baistrocchi), tuttavia possiamo interpretare i due ovati come frutto di un unico intendimento agiografico non solo per analogie di misure e formato, ma soprattutto per l’effetto inquadratura che caratterizza entrambi i santi, di trequarti con il volto girato e le mani in evidenza, che appaiono quasi ripresi in controparte, e destinati quindi da subito a una sorta di rispecchiamento figurale. Il confronto però si ferma qui, in quanto mancano nel San Bernardo quelle qualità di “studio di testa” e di carattere che alzano il registro del San Lorenzo. Il Ferrari piuttosto sembra attardato nella riproposta di modelli bolognesi e secenteschi (di cui la chiesa stessa peraltro gli forniva intorno uno straordinario campionario: da Annibale e Agostino Carracci, a Guercino, Lorenzo Aili, per arrivare a Piazzetta e Tiepolo, tutti capolavori oggi conservati in Pinacoteca), in quella luce di sbieco che illumina la fronte e gli occhi alzati al cielo, la mano che regge lo strumento penitenziale, appena segnati da rughe e vene che rivelano, ma con quanta discrezione, il prosciugamento fisico della preghiera e dell’astinenza. Se ancora gusto di indagine e di verità ottica si voglia cercare, si troverà nei brevi tratti di pennello che disegnano le luci e i contorni, le diverse materie dello staffile e del teschio, resi con la stessa concretezza che in altri anni suscitava unanime ammirazione per le trine dello jabot del Du Tillot, o per il collo di pelliccia della signora Bertoluzzi.

Bibliografia
Baistrocchi 1780, c. 81;
Affò 1794, p. 66;
Ricci 1896, p. 168;
Scarabelli Zunti fine del XIX secolo, Materiale…, I, c. 26;
Quintavalle A.O. 1939, p. 286;
Bigliardi 1977, p. 42;
Fornari Schianchi 1979c, p. 117
Restauri
1979
Luisa Viola, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.