- Titolo: Sacrificio di Polissena
- Autore: Vincenzo Ferreri
- Data: 1793 (I premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 89 x 134
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: Inv. 7
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: L'Accademia
Il bando del concorso di Pittura dell’Accademia di Parma per l’anno 1793 proponeva “alla fervida fantasia dei giovani Pittori” di raffigurare “il momento, in cui Pirro uccide Polissena su la tomba del di lui padre Achille” (Pellegri 1988, p. 276), illustrato nel XIII libro delle Metamorfosi di Ovidio.
Il bando del concorso di Pittura dell’Accademia di Parma per l’anno 1793 proponeva “alla fervida fantasia dei giovani Pittori” di raffigurare “il momento, in cui Pirro uccide Polissena su la tomba del di lui padre Achille” (Pellegri 1988, p. 276), illustrato nel XIII libro delle Metamorfosi di Ovidio. La “duplicata Corona” fu assegnata,con il ribaltamento della decisione della commissione accademica da parte di una commissione esterna, nominata da Don Ferdinando di Borbone su sollecitazione di Gaetano Callani (Cirillo – Godi 1979d, p. 37), alla tela contrassegnata dal verso ovidiano “placet Achilleos mactata Polyxena manes” (Metamorfosi, XIII, 448) del perugino Vincenzo Ferreri, allievo di Marcello Leopardi (m. 1795).
Il pittore risiedeva a Roma dal 1785, e aveva ottenuto numerosi premi presso l’Accademia di San Luca (Sica 1989b, p. 34). Il concorso parmense portò fortuna a Vincenzo Ferreri, che ricevette, a partire dal 1812, importanti commissioni per la decorazione del Palazzo del Quirinale e nella Galleria Chiaramonti in Vaticano, nonché, sempre a Roma, incarichi per dipinti e affreschi di tema sacro (Sica 1989b, p. 34).
Con “uno stile piacevole, non manierato, e lontano dalle alterazioni violente” (Pellegri 1988, p. 278) il pittore rappresenta il momento più sospeso e carico di tensione della vicenda, rispettando alla lettera il racconto di Ovidio. Il tema viene svolto su un unico piano, affollato di figure ma con una ben studiata articolazione dei gruppi e dei gesti nello spazio, che permette la creazione di vettori visivi che inquadrano, isolandoli, Polissena e il suo uccisore, vagamente ispirati al barocco Sacrificio di Polissena di Pietro da Cortona. Il giudizio lusinghiero ottenuto dal dipinto elogiava i movimenti “nobili e vaghi”, il “disegno giudizioso, e di buone proporzioni” definiva “belle le forme delle teste, eleganti le fisionomie, e tutte le estremità diligentemente finite. Naturali […] le pieghe” (Pellegri 1988, p. 278). Il pittore rispettava con diligenza il “costume antico, dando saggio di erudizione nel sodo delineamento della tomba d’Achille, e nei minuti accessori dipinti con tocchi magistrali” (Pellegri 1988, p. 278).
La valutazione degli accademici tiene conto della cura con cui è condotto il dipinto, e della maturità stilistica del pittore, capace di rifarsi a modelli famosi rileggendoli alla luce dei nuovi canoni eloquenti e teatrali del Neoclassicismo maturo. Ritroviamo nel dipinto citazioni da statue e fregi antichi, echi di Domenichino, in particolare nella tenera e levigata figura di Polissena, e di Poussin, che poteva insegnare come organizzare in maniera efficace gesti e gruppi di figure. Massima cura è posta nella descrizione degli oggetti e dei costumi. I colori sono filtrati, restituiti a una gamma cromatica algida e ribassata, che ancora una volta presenta, distaccandola dal gruppo, la figura della figlia di Priamo. Non stupiscono quindi il sostegno di Gaetano Callani, corrispondente di Mengs e custode della tradizione correggesca a Parma, e l’ammirazione di Antonio Canova per questa tela aggiornatissima e moderna sotto il profilo stilistico, che riesce a esprimere nello stesso tempo la delicatezza e il coraggio della protagonista, con un’effusione sentimentale che si mantiene ai confini della misura e dell’austerità neoclassica. Per la ricchezza delle citazioni dall’antico e per la carica teatrale e patetica, il dipinto è vicino alle opere eseguite negli stessi anni da Marcello Leopardi, come Paride affidato alle cure di un pastore dalla madre Ecuba (Roma, Palazzo Altieri), pure del 1793. Con la vittoria di questo dipinto, l’Accademia di Parma si presentava come uno fra i più aggiornati centri di elaborazione artistica d’Europa. (E.O.)