• Titolo: Sacra Famiglia coi santi Michele arcangelo, Bernardo da Chiaravalle e angeli
  • Autore: Giorgio Gandini del Grano
  • Data: 1534-1535
  • Tecnica: Olio su tavola
  • Dimensioni: cm 251 x 151
  • Provenienza: Eseguita per l’altar maggiore della chiesa di San Michele dell’Arco a Parma; trasportata a Parigi nel 1796 e riportata a Parma nel 1816 dove Donati nel 1824 la ricorda all’Accademia di Belle Arti
  • Inventario: GN39
  • Genere: Pittura
  • Museo: Galleria Nazionale
  • Sezione espositiva: Arte a Parma 1500-1600

La pala si trovava all’altar maggiore della chiesa di San Michele dell’Arco dove non sfuggì all’attenzione degli appassionati d’arte almeno fin dal ’700 quando la vide già l’Orlandi nella sua sede originaria.

Ruta (1752) in seguito la descrisse con ammirazione collocandola giustamente nell’ambito correggesco, ma attribuendola invece a Lelio Orsi “che imparò dal Correggio”; inoltre Ruta lamentò che il suo autore fosse caduto in oblio, e “Il solo presente Quadro fa ben capire a chiunque lo considera, di che tempra sia la sua eccellenza, sì nel comporre, come del perfettissimo gusto di dipingere”, in particolare nella posa della Madonna col Bambino e nel San Michele. Alcuni viaggiatori francesi lo nominarono puntualmente nelle loro guide. Non sfuggì nemmeno all’attenzione di quei funzionari napoleonici che nel 1796 la inviarono a Parigi, da dove tornò nel 1816: è evidente che anche questa pericolosa vicenda testimonia un notevole apprezzamento e probabilmente anche un riferimento a un autore più stimato. Finalmente dall’inizio del secolo iniziò una discussione in merito all’attribuzione del Ruta e dunque venne restituito al Gandini.

Il dipinto è effettivamente l’opera più significativa che ci ha lasciato il Gandini, e questo viene riconosciuto più tardi anche dal Ricci che però lo definì in modo impietoso: “il colorito è crudo e nelle mezze tinte alcun poco legnoso, mentre la composizione è trita e sopraccarica all’eccesso”. L’opera non è documentata e solitamente viene datata alla metà degli Anni trenta. Riccomini di recente ha collocato il dipinto poco dopo le due Sacre Conversazioni, nello stesso periodo della Concezione del Mazzola Bedoli, suggerendo quasi una gara fra i due artisti e precisando i termini culturali nei quali lavorano: al classicismo erudito del Bedoli si contrappone quindi la ricchezza luministica del Gandini, impreziosita da una descrizione fiabesca, consapevole della pittura nordica italianeggiante (sul tipo di Barent van Orley) e la produzione incisoria di Aldegrever. Anche la Fornari Schianchi (1995b) ha datato l’opera verso il 1534-1535 notando gli accenti ferraresi del drago.

È quindi ormai precisato l’ambito culturale nel quale lavora il Gandini. Forse è stato però finora sottovalutato il significato che hanno avuto in opere di questo tipo, e in altre nella scuola di Parma, gli esempi di raffaellismo alla Giulio Romano: infatti sembra evidente che l’inquadratura derivi dalla Madonna della perla ora al Prado o dalla Sacra Famiglia nella chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma. Da un punto di vista inventivo poi, e in questo caso non in quello stilistico, sembra riemergere il riferimento al Correggio, in particolare all’Allegoria della virtù del Louvre. Infatti alle fisionomie e agli atteggiamenti correggeschi più diffusi nell’opera del Maestro (ad esempio quelli che possiamo vedere nella Madonna di san Giorgio oggi a Dresda) si aggiunge una complicazione iconografica che trova riscontro nel dipinto del Louvre con le posizioni più intricate delle mani e i volti ferini che si affacciano in modo silenzioso ma prepotente. Se da queste considerazioni passiamo all’aspetto propriamente tecnico vediamo che la pittura presenta corposità e spessori (si veda sul pastorale), specialmente in relazione ai bianchi, che contraddistinguono questa ingegnosa pala del Gandini.

L’iconografia del dipinto ha di certo attratto nel passato l’attenzione di molti estimatori che forse hanno notato il modo in cui Gandini nel San Michele arcangelo sottolinea la funzione di pesatore di anime. Inoltre il drago sembra un recupero di esempi di primo ’400, dove analogamente il diavolo/drago occupava gran parte della scena, e nella stessa misura in cui il diavolo è significativamente aggressivo, il San Michele arcangelo conserva un atteggiamento distaccato ed edonistico. Questa interpretazione della scena sembra aver avuto fortuna nella pittura parmense considerando il dipinto di collezione privata di Boston, presentato dalla De Grazia come possibile originale del Gandini (1984a, p. 199), ma probabilmente più tardo. Elemento nuovo è il risalto dato alle figure delle anime, piccole ma complete figurette che entrano con dignità nella dinamica della scena.

Scheda di Andrea Muzzi tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.