- Titolo: Ritratto presunto di Correggio
- Autore: Anonimo parmense
- Data: Post 1573
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: cm 42 x 27
- Provenienza: Parma, collezione Rossi Beccali, 1851
- Inventario: GN311
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Sfogliando le Vite di Vasari (1568) non succede effettivamente quasi mai, soprattutto nella terza sezione, quella riguardante gli artisti della “maniera moderna”, di non trovare i singoli profili biografici corredati dal loro “santino”.
Spesso sono immagini inattendibili, brutte, ma certo suscita un certo stupore, dopo aver incontrato il profilo vecchio e barbuto di Leonardo, e il volto tondo e giovane incorniciato da ricci capelli di Giorgione (che intelligenza critica rivela il semplice ordinamento di questo testo fondamentale…), trovare in apertura alla vita di Antonio Allegri una triste cornicina vuota (verrà poi aggiunto dall’editor nell’edizione bolognese del 1647). Effetto così sgradevole e deludente che lo storico aretino sente il bisogno di giustificarsi: “Ho usato ogni diligenzia d’avere il suo ritratto, e perché lui non lo fecie, e da altri on è mai stato ritratto, perché visse sempre positivamente, non l’ho potuto trovare; e nel vero fu persona che non si stimò né si persuase di sapere far l’arte, conoscendo la difficultà sua, con quella perfezzione che egli avrebbe voluto. Contentavasi di poco e viveva da bonissimo cristiano” (ed. 1945, II, p. 47). Resistendo alla tentazione di lasciarsi andare alle solite, e inevitabilmente inconcludenti, disquisizioni su un più o meno probabile profilo psicologico dell’artista, ma certo un minimo di understatement bisognerà concederglielo, conviene sottolineare che né gli storici dell’arte né i collezionisti si sono arresi. Andando a cercare, favoleggiando e magari facendo eseguire, tutta una serie di presunti ritratti (secondo vari filoni e prototipi identificativi). Ma non mancano neanche le ipotesi di autoritratto, e vanno dal San Giuseppe della Madonna della scodella a un profilo barbuto e sfumato nella cupola del Duomo). Già nel 1871 Pietro Martini con l’autorevolezza di segretario dell’Accademia di Belle Arti parmense negava con ironia l’ipotesi che il nostro ritratto potesse “per i segni dell’età e ogni altra apparenza” essere autentico, mentre Ricci (1896) non si pronunciava in merito. Successivamente (1917) in un meritorio tentativo di riepilogo e sintesi dell’intricata questione mutava opinione arrivando a proporre il nostro (p. 66) come autentica effigie del maestro, sulla base del confronto col presunto Autoritratto del Duomo (da lui stesso, sui ponteggi di restauro, riconosciuto con commozione). Romantica empatia o intrigante tentazione, cui non si sottrae neppure la mente lucida dello storico moderno: Giuliano Briganti in tempi recenti (1986, p. XXII) legittima questa identificazione, e ne trae spunti di psicologia analitica: “Morì relativamente giovane, appena quarantacinquenne, e nonostante le commissioni imperiali degli ultimi anni, il suo tramonto fu triste, e per ragioni che non è del tutto facile spiegare. Vanno ricercate soltanto, forse, nella sua indole introversa, ombrosa, facile alle angosce, vanno lette nello sguardo malinconico del suo supposto, ma probabile, autoritratto sulla cupola del Duomo”. Ma sulle pareti del Duomo c’è, forse, anche un supposto “ritratto” di Correggio: tra le fisionomie di concittadini illustri (come tali le ha ancor più valorizzate il recente restauro) che Lattanzio Gambara mescola ai personaggi sacri nella decorazione (1568-1573) della navata di mezzo la tradizione locale ha da sempre individuato, in un volto barbuto e assorto in profilo, l’identità del pittore. Il nostro appare giusto come una commistione, modesta ma singolare, fra i suddetti: barba scura e non molto lunga, fronte stempiata (coperta da uno stravagante berretto chiaro), naso lungo e leggermente arcuato, fronte aggrottata, un omaggio certamente parmense al grande maestro scomparso.