L’opera venne venduta nel dicembre del 1844, insieme a un secondo ritratto ivi conservato contrassegnato dall’iscrizione “Gibertus Scarduus…” (inv. 295, scheda n. 192), dal dottor Luigi Casapini, alla cui famiglia, per discendenza femminile, erano passati i beni dei Puelli.

Dagli Atti dell’Accademia della seduta del 28 ottobre di quell’anno, si evince che in cambio di una somma ben più modesta di quella proposta, il Casapini accettò due piccole copie dei ritratti, che il corpo accademico si offrì di eseguire. L’identificazione del personaggio raffigurato nella nostra tela non era tuttavia indicata in tale atto e l’opera venne descritta ricordando solo lo stemma “con la fascia traverso al campo tre mezze lune e il motto: Festina Lente”, che ritroviamo in alto a sinistra del quadro.

Probabilmente l’identità del raffigurato fu ricostruita successivamente su documenti in possesso del Casapini e in tutti gli inventari della Galleria compare con questa identificazione. Solo nel Blasonario parmense dello Scarabelli Zunti (fine del XIX secolo [a], vol. I, f. 153), in cui è riprodotto con esattezza lo stemma, seguito dalla didascalia che lo dice tratto da un dipinto presso l’Accademia, l’arma è assegnato alla famiglia “da Piacenza”, che in effetti aveva nel suo scudo araldico tre lune, come si può ben verificare negli stemmi che Giovanna da Piacenza ha disseminato nella Camera di San Paolo.

È plausibile che i Puelli fossero imparentati con i “da Piacenza”, del resto proprio nel monastero di San Paolo nel 1507 era entrata una Margherita Puelli insieme ad altre fanciulle della famiglia Bergonzi (Dall’Acqua 1990, p. 30), comunque le tre mezze lune poste su banda in diagonale ancora nel 1608 appaiono in un sigillo del Cavaliere di Santo Stefano Gian Francesco Puelli (Scarabelli Zunti fine del XIX secolo [a], vol. III), figlio del personaggio in esame.

Notizie su Gian Battista Puelli, dottore in legge, furono raccolte dal Pezzana (1857, vol. VI, p. III, pp. 666-669), direttamente dagli eredi Casapini e possiamo così conoscere qualche dato biografico, che ci conferma la possibile datazione del ritratto. La data di nascita non è nota, ma nel 1577 era ancora in vita e suo figlio aveva a quella data ventiquattro anni.

Nel 1567 insieme a da Erba era stato delegato “alla riforma degli ‘Statuti de’ Merciaj’” e nel governo della città aveva assunto ruoli di “Capo e principale dei Deputati”.

Nel ritratto dimostra un’età fra i venti e trent’anni e per la foggia del costume che indossa, con il colletto piatto e i lacci pendenti sul farsetto nero, oltre al robbone appoggiato sulle spalle, elementi comuni alla moda fra il quinto e il sesto decennio del Cinquecento, possiamo proporre di collocare il dipinto attorno alla metà del secolo, anche su basi stilistiche. L’impianto spaziale a trequarti di figura è dedotto da schemi ormai codificati dallo State portrait e l’indagine psicologica è solo di superficie. Tutta la figura, pur condotta con diligenza nella resa dei particolari, appare piuttosto rigida e anche il modellato della mano che tiene una carta, priva di alcuna scritta,  non denota un interesse per una diretta ricerca naturalistica.

In passato era stato dal Pigorini, senza alcuna considerazione logica, proposto ad Alessandro Araldi, mentre il Quintavalle lo ritenne di un seguace di Girolamo Bedoli e pensiamo che ancora possa essere riproposto in questo ambito di ritrattistica emiliana, con reminiscenze di modelli cremonesi, alla luce delle esperienze di Bernardino Campi.

Scheda di Mariangela Giusto tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.