Anche questo importante ritratto, sebbene il cartellino nel verso ponga dei dubbi sulla provenienza, per Quintavalle faceva parte delle collezioni farnesiane e venne restituito alla Galleria nel 1943, proveniente da Caserta, benché ancora nel 1930 lo troviamo registrato nel catalogo del Museo Nazionale di Napoli con il n. 1406.

Sulla tela di rifodero sono stati riportati due sigilli ai lati di un cartellino frammentario e poco leggibile e con scarso esito si è cercato di riconoscere gli stemmi. Solo quello di sinistra con il leone rampante attraversato in diagonale da una banda sembra simile all’arma della famiglia Peretti, mentre l’altro, a tre bande orizzontali precedute da tre rosette, non è stato identificato.

Le scritte nel lacerato foglietto frammezzo, vergate con calligrafia apparentemente settecentesca, possono dare adito a varie interpretazioni. Sembra più probante che vi sia scritto Lazzari che Carraci e forse si riferisce al nome di un notaio, comunque se corrispondesse a Paolo Carraci avallerebbe i caratteri bolognesi del primo ’600, che già Quintavalle riconobbe nell’anonimo autore del ritratto e li ricondurrebbe giustamente alla bottega carraccesca.

L’identità del personaggio raffigurato riconosciuto come Ranuccio I, se pur all’apparenza sembra diverso dal ritratto dell’Aretusi (inv. 345, scheda n. 371) conservato in Galleria, assomiglia con più convinzione all’immagine, ritratta certamente a memoria, che lasciò di lui l’anonimo artista della tela presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Parma (Giusto 1995b, pp. 282-283) e trova riscontro anche con la statua che ritrae il duca dal vero, eseguita dal Mochi nel 1615-16 per Santa Maria di Campagna a Piacenza (Ceschi Lavagetto 1986, p. 14), dove il naso, dipinto sempre più affilato, ha dimensioni più simili a questo.

Il Bellori nel narrare la vita di Agostino Carracci riporta che l’artista bolognese dopo il soggiorno a Roma presso il cantiere di Annibale, su invito del cardinal Odoardo venne richiesto a Parma al servizio di Ranuccio e “…ritrasse questo principe tutto armato e guerriero degno figlio del grande Alessandro…” (Bellori 1672 [ed. 1976], p. 122). Ritratto che ancora non è stato individuato con certezza (cfr. scheda n. 325) e che ci sembra possa corrispondere a questo, basta confrontarlo con l’Autoritratto di Agostino conservato agli Uffizi, dove la sua formazione veneta lo porta a dare nuova linfa alla ritrattistica emiliana del tardo ’500.

Il dipinto non è uno State portrait, come fu quello tradizionalmente attribuito all’Aretusi, replicato e copiato più volte, facendone l’iconografia “ufficiale” del duca. Qui il rapporto fra l’artista e il personaggio si fa più sottile, l’indagine è profonda, penetra nell’animo di Ranuccio ed emerge in superficie con fortissima resa psicologica.

Il pittore e il duca sono sullo stesso piano, uno ritrae quello che la realtà naturale gli trasmette e Ranuccio non nasconde dietro una maschera il carattere inquieto e collerico; gli occhi sono intensamente “vivi” e comunicano tensione e dramma (sorgono spontanei alla mente gli avvenimenti che porteranno alla grande congiura del 1612).

A far propendere per l’attribuzione del ritratto ad Agostino Carracci è anche la soluzione spaziale adottata dal pittore.

La figura posta a trequarti ruota con la testa e avanza con la bianca gorgiera in primo piano, non interessa l’ambientazione, ma i protagonisti sono la figura e la materia pittorica. Tutto è calcolato, la luce deve colpire i piani e inciderli, passando con le ombre fra le pieghe del colletto. Il riflesso di luce alle spalle serve per dare volume al busto e la massa scura, marrone, della corazza, probabilmente di cuoio, filettata d’oro disegna in prospettiva il corpo. Ranuccio non ha al collo il Toson d’oro che ricevette nel 1601 e questo ci conferma che possa essere il ritratto dipinto nel 1599 destinato forse al cardinale Odoardo per la cui esecuzione Agostino Carracci ricevette un anello d’oro smaltato con diamanti (Giusto 1995b, p. 285).

È noto che al duca non piaceva farsi ritrarre ed è probabile che questa tela non avesse ricevuto il suo consenso, dato che non si conoscono copie. Forse il sigillo con il leone, forse l’emblema della famiglia Peretti, a cui apparteneva Papa Sisto V, potrebbe aprire un’ipotesi sulla destinazione romana del ritratto e sulle vicende della collezione del cardinale Odoardo, essendovi state alcuni anni prima delle trattative per combinare un matrimonio tra Flavia Peretti, nipote del papa, e Ranuccio Farnese, progetti di nozze che Filippo II aveva ostacolato (Russo De Caro 1992, p. 40).

Iscrizioni: sul verso, su uncartellino, 35.-A. Ritratto di un guerriero con gorgiera e corazza. (S.n. corr.ai cataloghi) (d’incerta provenienza.); in un cartellino fra due sigilli in ceralacca rossi, – … 40 … Paolo Lazzari? (Carraci?)-Genisio Lazzari? (Carraci?)

Scheda di Mariangela Giusto tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.