- Titolo: Ritratto di Pompilio Ambanelli
- Autore: Luciano Borzone (ambito di)
- Data:
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 114 x 80
- Provenienza: Ignota
- Inventario: GN 343
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il dipinto appare, senza alcuna indicazione sulla provenienza, già nell’Inventario manoscritto del 1852 della Pinacoteca con il n. 143.
Se pur riconducibile a una committenza locale, le ricerche d’archivio non hanno fornito ulteriori notizie sull’effigiato ed è plausibile supporre che Pompilio fosse parente di quel Ferrante Ambanelli che svolgeva nel 1625 il ruolo di archivista comunale. Nel 1646 e 1649 un Francesco Ambanelli è registrato con patente di notaio ed ebbe incarichi di podestà sia a Poviglio che a Montechiarugolo (ASP, Fondo Famiglie) e tuttora discendenti di questa famiglia sono presenti nel territorio parmense.
Il ritratto – indicato sia dal Martini (1872) che dal Pigorini (1887) come opera di scuola incerta – passò a un ambito parmense, di tarda derivazione bedolesca, con il Quintavalle (1939) e alla mostra del 1968 la Ghidiglia Quintavalle lo collocò in un’area emiliana “ormai tutta seicentesca” con richiami alla cultura fiamminga nella “ricerca psicologica”.
Alla luce di una più attenta disamina del ritratto, difficilmente si può pensare che sia uscito da una bottega emiliana, nel terzo decennio ancora aderente alla riforma carraccesca, trovando più attinenze nell’impostazione figurativa con soluzioni di chiara derivazione vandychiana, facilmente rintracciabili nella ritrattistica genovese o lombarda.
La scelta di riempire lo spazio pittorico impostando la figura di tre quarti – immergendola nello sfondo scuro con solo metà del busto e del volto lambiti dalla luce, in piedi, inquadrato solo per due terzi della figura, con a fianco, appoggiati su un piano, l’elmo con il cimiero piumato – è dedotta da modelli della ritrattistica fiamminga e per la datazione precoce del dipinto (1629) non poteva che trovare riferimenti culturali in aree in cui erano ben presenti testimonianze pittoriche lasciate da Rubens durante il suo soggiorno italiano e ancora di più da van Dyck.
Quest’ultimo, sul finire del 1627, aveva abbandonato Genova, lasciando nelle più prestigiose collezioni innumerevoli ritratti e ai suoi innovativi modelli dovranno far riferimento anche pittori locali come Luciano Borzone, che il Soprani (1674) annoverava fra i più richiesti, sebbene la sua produzione ritrattistica sia ancora oggetto di proposte attributive (per bibl. aggiornata cfr. Boggero – Manzitti 1997, pp. 111-113).
Un confronto nella scelta di costruire il personaggio fra luci e ombre, con vividi bagliori sul metallo dell’armatura, ritengo possa essere sostenuto con il Ritratto di gentiluomo di collezione privata, assegnato al Borzone alla mostra del Barocco genovese (Ghio Vallarino 1992, pp. 103-104), sebbene nel Ritratto di Pompilio Ambanelli il volto è reso con minor espressività, forse a causa di un antico restauro, che ha lasciato emergere, specie nelle ombre, la base rosso-bruna.
Con grande finezza, in questo gioco di masse scure escono comunque i ricami preziosi delle trine del polso e del colletto, indossati sopra l’armatura, accessori alla moda di foggia ormai seicentesca, come del resto il guanto (e forse anche un lembo di cappello) stretti nella mano destra; un costume da cavaliere e sebbene la fascia rossa sul petto suggerisce un incarico da capitano al personaggio, la scelta dell’abbigliamento militare potrebbe essere solo di convenzione, per esaltare un ruolo da parata assunto dall’Ambanelli presso qualche Corte italiana.
Il Soprani afferma che Luciano Borzone al seguito del nobile Gio. Carlo Doria si trovò a Milano a ritrarre vari cavalieri, tutte opere non rintracciate, e la sua presenza fu certamente in ambito lombardo un’altra occasione di incontro e di diffusione dei modelli della ritrattistica vandychiana e anche suoi discepoli – come l’Assereto – mostrarono componenti fiamminghe nel saper cogliere, con una pittura sicura e naturalistica, la psicologia del personaggio effigiato.