- Titolo: Ritratto di Giulia Bonfanti
- Autore: Carlo Francesco Nuvolone
- Data: 1630-1650
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 240 x 122
- Provenienza: acquistato dalla Congregazione di Carità nel 1917
- Inventario: GN 1113
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Arte in Lombardia e in Italia centrale 1600-1700
Il ritratto costituisce il pendant di quello descritto alla scheda precedente, con il quale condivide le identiche vicende storiche e critiche.
Giulia Bonfanti, al servizio dei Farnese tra le dame di Corte della duchessa, è una gentildonna piacentina, figlia di Matteo Bonfanti e di Angela De Bernardis e sposa Carlo Beccaria nel 1632. Che i due dipinti siano stati concepiti ed eseguiti dal medesimo artefice lo dimostrano l’identica qualità esecutiva, la dimensione delle due tele, e il fatto che i due personaggi si guardano come avviene nei ritratti sponsali. Entrambi sono raffigurati in piedi, presso un tavolo rivestito da un tappeto rosso e caratterizzati dalla presenza del cagnolino, anche la posa è identica e contraria in modo da creare un legame intrinseco fra i due coniugi. L’immagine quasi a grandezza naturale, l’atteggiamento delle figure e l’omogeneità d’ambientazione, con la voluminosa tenda che funge da sfondo, creano l’effetto che i personaggi siano effigiati nello stesso luogo, quasi a voler suggerire l’immagine di un unico quadro, con un evidente allusione a un rapporto paritario fra marito e moglie.
Il rango sociale appare sottolineato dallo sfarzoso abbigliamento di gusto francese, che costituisce uno splendido esempio per la storia del costume dell’epoca (Levi Pisetzky 1978). I Beccaria a Parma sono personaggi di spicco, lo dimostrano i prestiti erogati alla Corte, le committenze importanti nella chiesa di San Vitale e la prestigiosa collezione di dipinti che il patrizio milanese lascia in eredità alla Congregazione Suffragio. La nota delle opere possedute dal Beccaria al momento della morte nel 1680 (Filangeri di Candida 1902) mostra quanto il facoltoso, ma anche raffinato gentiluomo, fosse legato alla sua città natale: nella quadreria insieme a opere di Scuola emiliana sono presenti moltissimi dipinti lombardi, con una netta prevalenza del Nuvolone per i soggetti sacri; dettaglio che ha portato la Giusto a valutare l’ipotesi che Carlo Francesco abbia potuto eseguire anche le due tele della Galleria. Stando a quanto riportano le fonti (Orlandi 1704, p. 306) Nuvolone, la cui attività di ritrattista deve ancora essere messa a fuoco dalla critica, è stato uno dei maggiori interpreti della nobiltà milanese della metà del ’600. Tuttavia, come già considerato (vedi scheda precedente), la supposizione non troverebbe riscontro nella resa pittorica dei due quadri, che non rivelano quel senso luminoso e pastoso del colore, quei giochi di trasparenze impalpabili, che segnano la pittura nuvoloniana.
Pur non essendo direttamente riconducibili alla mano dell’artista milanese, i ritratti mostrano un’evidente matrice culturale lombarda non solo dal punto di vista del modo di rappresentare i personaggi, ma soprattutto nella forza espressiva e nell’inclinazione a un pacato realismo che caratterizza entrambi gli effigiati. Il legame con la grande pittura seicentesca della Lombardia emerge nella posa, che appare piuttosto perentoria, nell’importanza della definizione dell’abbigliamento e nella scelta dello sfondo prospettico teatrale, con il ricco tendaggio che completa l’inquadratura dei ritratti. Le forme larghe, la pennellata corposa e l’atmosfera avvolgente conferiscono all’assetto piuttosto severo una forte valenza emotiva, che si traduce nella penetrazione psicologica dei personaggi. L’approccio si rivela così immediatamente realistico, ma nel contempo profondamente incline alla riflessione sulla levatura morale dell’individuo piuttosto che sul ruolo sociale, aspetto sottolineato anche dal piccolo libro su cui Giulia Bonfanti posa la mano.
È legittimo supporre che il Beccaria si sia servito di un pittore lombardo per i due quadri, anche perché i suoi legami con Milano, nel momento in cui si trasferisce a Parma, non si interrompono. Resta quindi da individuare il nome dell’artefice, che a tutt’oggi non compare menzionato in alcun documento, ma che – come è stato ipotizzato nella scheda precedente – potrebbe essere individuato in Carlo Ceresa, o nella sua cerchia, in virtù delle analogie stilistiche e compositive che legano le due tele della Galleria a certi ritratti del pittore bergamasco.