- Titolo: Ritratto di Francesco Maria de’ Medici
- Autore: Giusto Sustermans
- Data: 1678
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 191 x 131
- Provenienza: collezione ducale; Parma, Palazzo del Giardino, 1834; R. Biblioteca Palatina, 1843; R. Pinacoteca, 1887
- Inventario: GN 1021
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Arte in Lombardia e in Italia centrale 1600-1700
Il dipinto conserva sul retro il numero 202 corrispondente alla numerazione dell’inventario datato al 1693 dei quadri conservati nell’appartamento della principessa Maria Maddalena Farnese (cfr. Bertini 1987, p. 279). Anche dopo la spoliazione della ricca collezione farnesiana operata da Carlo di Borbone, la tela rimase nei palazzi parmensi e nel 1834 era nel Palazzo del Giardino. Nel 1843 fu donata dalla Casa Reale alla R. Biblioteca Palatina e da qui passò nel 1887 alla R. Pinacoteca, con un’errata identificazione del personaggio.
Per motivi inspiegabili, il giovane principe mediceo era stato riconosciuto per Don Pedro di Porto Carrero dei Farnese dei duchi di Latera e ancora nel 1948 comparve con quello scambio d’identità nella Mostra parmense di dipinti noti ed ignoti; l’equivoco è ora sciolto e l’effigie del personaggio farnesiano è ricondotta al ritratto della scheda n. 384, inv. 1026 (cfr. II volume, p. 220).
La proposta di identificare l’immagine del giovane prelato della nostra tela con il possibile ritratto del cardinale Francesco Maria de’ Medici, ricordato dal Baldinucci (1812, vol. XII, p. 68) fra le opere che Sustermans, ormai ottantaduenne, eseguì nel 1678, “con tanta bravura, che vollero quelle Altezze, che a perpetua memoria egli vi scrivesse il suo nome, l’anno e l’età”, è stata avanzata nel 1986 dalla Goldenberg Stoppato e chi scrive ebbe già l’opportunità di confermarne, per l’alta qualità pittorica del ritratto, la paternità all’artista di Corte dei Medici, sebbene nel dipinto non sia stata individuata alcuna firma e data.
Tuttavia la somiglianza con gli altri ritratti del principe, specie quello conservato agli Uffizi (IC1018), che lo raffigura all’incirca alla stessa età in abito talare, allontana qualsiasi equivoco d’identificazione e la presenza di un suo ritratto fra i beni farnesiani è ampiamente giustificato dal legame che mantenne con la Corte paterna la duchessa di Parma, Margherita de’ Medici. Dopo le sue nozze con Odoardo Farnese (1628), ella continuò a servirsi dell’opera di Sustermans anche a distanza di decenni, e l’artista dipinse ritratti per la Corte non solo durante i suoi soggiorni a Piacenza e a Parma (1639 e 1656), ma presumibilmente con l’invio di opere da Firenze fino alla morte di lei, avvenuta nel 1679. Francesco Maria de’ Medici (1660-1711) era nipote della duchessa Margherita e inizialmente venne destinato alla carriera ecclesiastica. Su di lui furono riversate tutte le rendite godute dai cardinali dei Medici e dimostrò di preferire una vita di piaceri alle devozioni e dedicò tempo e denaro alla costruzione della Villa di Lappeggio. Nel 1709, per poter garantire una discendenza al suo casato, dovette abbandonare i benefici cardinalizi e sposare Eleonora Gonzaga, figlia di Vincenzo duca di Guastalla. La giovane moglie tuttavia si rifiutò di soddisfare il debito coniugale (Litta, vol. V) e Francesco Maria nel 1711 morì senza eredi legittimi.
Attorno al 1670 Sustermans aveva già ritratto il giovanissimo principe in una posa quasi identica con a fianco un cane (Meloni Trkulja 1983, p. 99, XXIII), tuttavia nella nostra tela l’artista sembra animato da un vigore pittorico diverso, più libero nel riproporre uno schema iconografico lungamente adottato, in cui le pennellate si fanno più rapide e le lumeggiature più intense con tocchi nervosi che sfumano i contorni. L’indagine psicologica sul personaggio, che ha al collo la Croce di Malta acquisita di diritto con il ricco priorato di Pisa, non è solo di superficie.
Il cielo, agitato da nubi cupe e minacciose, infonde vita alla scena e al volume ampio dell’abito nero del giovane (che all’epoca doveva avere diciott’anni) e la piccola scultura, alla sommità dello schienale della sedia, è animata di luci, al pari delle pieghe della tenda di fondo, guidate forse da “una mano esperta, ma poco ferma” – come accenna la Goldenberg Stoppato – ricordando i problemi alla vista che Sustermans ebbe sul finire del sesto decennio (1986, p. 168).
Nella sua lunga attività l’artista fiammingo subì varie evoluzioni stilistiche e nella maturità avvertì maggiormente l’evolversi di caratteri rubensiani, adottando un impasto pittorico più fluido e una gamma cromatica accesa e se in tarda età – come ricordò il Baldinucci – fu ancora capace di eseguire un “bel ritratto” di Francesco Maria (1678), sulla base delle considerazioni espresse sembra possibile ricondurre questa tela a quel ritratto per lungo tempo considerato disperso.