Milanese, figlio di Francesco, cassiere generale del Banco di Sant’Ambrogio, Carlo Beccaria (1605-1680) si trasferisce a Parma nel 1627, ricevendone la cittadinanza dal duca Odoardo dieci anni dopo.

Per la Corte ricopre l’ufficio di computista generale con provvigione di 25 scudi al mese – come risulta dai Ruoli Farnesiani del 1657 – ma nel contempo è ancora impegnato a Milano, lo stesso anno infatti risulta incaricato quale tesoriere generale delle munizioni dello Stato.

Dal 1638, Beccaria è priore della Congregazione del Suffragio eretta nella chiesa di San Vitale, e ne fa ornare la cappella dal plasticatore comasco Leonardo Reti, per la cospicua somma di 180 doppie e 100 ducatoni di regalo. Uomo facoltoso, decisamente colto e raffinato, Carlo Beccaria lascia in eredità alla Congregazione un ingente patrimonio in denaro e la sua collezione di dipinti, fra i quali il ritratto in questione e quello della moglie Giulia Bonfanti anch’esso conservato in Galleria (vedi scheda successiva). Il legato dei dipinti viene in seguito smembrato, in parte acquisito dalla camera ducale, in parte disperso, o rimasto alla Congregazione: Scarabelli Zunti in una nota manoscritta ai margini del Donati (esemplare presso la Soprintendenza di Parma), testimonia di aver visto i nostri quadri presso la chiesa di San Vitale, nelle stanze della Congregazione dei Confrati del Riscatto.

Come riporta Sorrentino, al momento dell’acquisizione, nel 1917, Laudadeo Testi propone di assegnare i due ritratti, che non sono firmati ma evidentemente eseguiti dalla stessa mano, al pittore fiammingo Frans Denys, posizione che Sorrentino avalla senza dubbi. Quintavalle pochi anni dopo avanza delle perplessità sull’attribuzione, ma nella redazione del Catalogo della Galleria mantiene ugualmente il nome del Denys.

Recentemente la Giusto prendendo in considerazione entrambi i ritratti mette in dubbio non solo l’attribuzione al Denys, ma anche l’effettiva possibilità da parte del fiammingo di averli eseguiti. Nel suo intervento confuta l’ipotizzato e non documentato primo soggiorno in Italia dell’artista, intorno agli Anni quaranta – supposto da Sorrentino – confermandone l’arrivo a Parma non prima del 1662, anno in cui risulta al servizio della Corte farnesiana. Come già aveva suggerito il Quintavalle, la studiosa ritiene di non poter mantenere l’attribuzione al Denys nemmeno sulla base di considerazioni stilistiche; infatti il ductus pittorico del fiammingo, noto anche attraverso la produzione ritrattistica per la Corte, non trova oggettivi riscontri nei ritratti Beccaria. D’altra parte, per analoghi motivi, è discutibile anche l’attribuzione a Carlo Francesco Nuvolone, che viene contestualmente proposta.

Considerando il ritratto del patrizio milanese, che appare quello maggiormente indagato, non sembra di poter cogliere quella “morbidezza d’impasto”, come la definisce Longhi, che caratterizza la produzione del grande pittore milanese, che dipinge le sue figure con resa vigorosamente plastica, giocando su effetti pittorici di velature trasparenti e di avvolgente luminosità. Il nostro ritratto rivela caratteristiche diverse, l’impasto pittorico appare maggiormente corposo, l’incidenza della luce più netta evidenzia differenti intenti naturalistici, anche la gamma cromatica, rispetto alla tavolozza del Nuvolone, è giocata su toni più freddi.

La posa del Beccaria, se messa a confronto con i ritratti certamente assegnabili al pittore milanese, appare piuttosto compassata, mentre l’espressione tradisce una certa bonomia, infondendo al personaggio un particolare senso di umanità, che ha come esito finale la sottile interpretazione del soggetto.

Nel ritratto della Galleria, che mostra fortemente le sue ascendenze lombarde, sembra di poter cogliere, negli aspetti stilistici, una maggiore austerità, un differente senso della realtà, non per questo meno penetrante e intenso. In questo senso l’opera sembra più affine ai ritratti di Carlo Ceresa, come quello di gentiluomo in abito da cacciatore di collezione privata romana, e a questo proposito un intervento di restauro potrebbe evidenziare la qualità esecutiva del nostro.

L’essenzialità nell’impaginare la figura, e la presentazione severa del personaggio, malgrado gli sfarzosi abiti di gusto francese, diventano il mezzo per metterne in risalto la nobiltà, mentre la particolare attenzione alla resa naturalistica dei lineamenti conduce a indagarne la psicologia e suggerisce un’intonazione più intima, peculiarità che si ritrovano per esempio nei due ritratti di Giovan Battista Benvenuti e della moglie Chiara Ceni Benvenuti, dipinti dal Ceresa e conservati all’Accademia Carrara di Bergamo (inv. 259 e 260). L’impatto che si ha osservando entrambi i ritratti della Galleria affiancati è che sull’ufficialità della rappresentazione prevalga la volontà di restituire un’immagine dell’individuo più vera, più solida e dignitosa: caratteristiche che informano l’attività ceresiana, molto probabilmente conosciuta e apprezzata dal Beccaria, che per la propria immagine e per quella della sua sposa si avvale di un artefice in grado di trasmettere tali principi.

Bibliografia
Nota… I metà del XVIII secolo;
Donati 1824, p. 85;
Filangeri di Candida 1902, pp. 291-292;
Sorrentino 1931a, pp. 372-378;
Quintavalle A.O. 1939, pp. 326-327;
Giusto 1993, pp. 183-184
Scheda di Nicoletta Moretti, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seiceento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.