Nella descrizione dei dipinti della quadreria del professor Giuseppe Rossi, acquistata dall’Accademia di Belle Arti di Parma nel 1851, al n. 13 è indicato un “Ritratto di bambina che scherza con un cagnolino e tiene in mano una ciambella” valutato 300 lire senza particolari indicazioni attributive.

Nei successivi inventari della Galleria e nei cataloghi del Martini (1875) e del Pigorini (1887) il quadro viene assegnato a Diego Velázquez.  Non a torto indignato per tale affermazione, il Ricci (1896) è il primo a riscontrare nel dipinto caratteri tipici del ’600 bolognese avanzato e a proporne l’attribuzione al Cittadini. Non contestata da Quintavalle (1939), che anzi accosta l’opera per composizione e colore ai “bei ritratti” del pittore conservati nella Pinacoteca di Bologna e a quello di Fanciullo nella Galleria Corsini di Roma, viene ulteriormente supportata da una serie di studi successivi che, oltre ad avere confermato l’attribuzione del dipinto della Galleria, hanno permesso di chiarire la figura di questo pittore e la qualità della sua ritrattistica.

Una specialità pittorica da lui ampiamente trattata, soprattutto fra il 1650 e il 1680, durante il periodo della sua proficua attività bolognese, ma taciuta dalle fonti contemporanee. Il Malvasia, benché nutra un sincero sentimento di stima e di amicizia nei suoi confronti e ne dimostri l’alta considerazione citandolo fra i più “valentuomini” allievi di Guido Reni, non tralascia di rammentare l’aspra definizione che Francesco Albani dava dei “fratelli milanesi Carlo e Pier Francesco” abili “fruttaroli e fioranti” e niente più.

Il silenzio quasi assoluto del canonico sulla cospicua produzione di ritratti e nature morte di Francesco Cittadini non sembra aver avuto un adeguato riscontro neppure nel secolo successivo nelle opere del Crespi e dell’Oretti che ne riconoscono “il sublime ingegno” e lo dicono “universalmente pronto a dipingere storie, frutti, animali…” ma soprattutto paesaggi – come ravvisa anche il Lanzi – ma non menzionano, se non per i pochi dipinti di figure indicati negli inventari, la sua attività di ritrattista. Silenzio – come giustamente hanno sottolineato Riccomini (1961) e Roli (1977) – maturato dal fatto che Cittadini si era trovato a operare in una città, la Bologna del ’600, fedele a una tradizione estremamente esclusiva, quantunque elevatissima, qual era quella carraccesca e reniana e sostenitrice di una produzione ritrattistica che doveva conformarsi a quell’ideale aulico e retorico di un Reni o di un Domenichino.

È opinione del Roli (1977, p. 164), infatti, che i suoi ritratti fossero considerati, negli ambienti cittadini più colti, di genere fatalmente “basso” e, ricordando il grande Ritratto della famiglia Malvezzi (Dozza Imolese, Castello) lo studioso, per giustificare l’ampio consenso riscosso presso l’aristocrazia bolognese, ipotizza che la scelta ricadesse sul pittore milanese per questioni economiche. I suoi dipinti avevano probabilmente un valore monetario inferiore rispetto a quello dei pittori aulici e se si considera che veniva stipulata una cifra per ogni figura dipinta, risulta evidente come nel caso della famiglia Malvezzi, dove erano effigiate ben dodici figure, può essere stato decisivo proprio il problema dei costi. Un fattore che sembra avere avuto un ruolo rilevante per il successo di Cittadini come ritrattista.

Esemplare significativo della ritrattistica del pittore milanese è l’incantevole Bambina con cagnolino del dipinto di Parma che propone uno schema compositivo abbastanza frequente nei ritratti del Cittadini: la bambina si pone con adulta dignità al centro del dipinto (da notare anche il particolare taglio degli spigoli laterali del quadro, evidenziati con un colore scuro dal recente restauro, che accentua la centralità del personaggio effigiato). Il pittore imprime alla figura un leggero movimento di torsione individuato dal lieve scorcio del braccio sinistro, dalla posizione dei piedi appena sporgenti dall’abito e dalla sostenuta ombreggiatura laterale, torsione che contrasta con la frontalità del viso tondeggiante caratterizzato da una piccola bocca e da un minuto naso e da grandi occhi spalancati. Il personaggio indossa un ricco abito di seta avorio con motivi broccati dalle linee rigide e un po’ scivolate tipiche della moda seicentesca, ravvisabile anche nella foggia larga delle maniche con alto bordo raccolto nella piega del gomito e dalle quali fuoriesce una preziosa trina. Una tendenza sottolineata anche dall’uso di adeguati accessori a completamento dell’abbigliamento: il “grembiale” di seta ornato da broccature formanti un motivo a piccoli tulipani e mazzetti di fiori disposti alternativamente e la cresta di pizzo inamidato e pieghettato la cui linea verticale si conforma al gusto della moda dell’epoca.

La resa dei tessuti e dei pizzi, dettagliatamente indagati, appare evidenziata dalle sapienti lumeggiature – in passato offuscate dalle vernici e dalle fumigazioni rimosse dall’attuale restauro – che danno trasparenza e corposità alla sericità dell’abito. I particolari e la stessa figura si accentuano e si proiettano in avanti con grande definizione grazie alla presenza di una scura tenda nello sfondo. Tutta compresa nell’eleganza del suo vestito e dal portamento degno della gente del suo ceto, come ben si deduce anche dai preziosi giri di perle indossati, la bambina recupera una pregnanza di umanità quotidiana nel porgere affettuosamente la ciambella al cagnolino. La presenza di alcuni animali ricorrenti, nella fattispecie un piccolo cane di razza “bolognese” come spesso si riscontra nei ritratti di Cittadini, oltre che alle consuete valenze allegoriche, vale come una sorta di simbolo a conferma della sua autografia (Roio 1992b, p. 171).

Se le scarse notizie documentarie e l’impossibilità di identificare il personaggio effigiato non consentono di proporre una precisa datazione dell’opera, fortunatamente l’esistenza di alcuni ritratti datati, in particolare quello del 1647 raffigurante Tre fanciulli con fiori, ciliegie e un cagnolino della Academy of Art di Honolulu, e quello del 1652 con Dama e due bambini (Bologna, Pinacoteca Nazionale) (cfr. Roio 1992b, foto n. 134 p. 169 e n. 155 p. 172) ritornano utili per un’eventuale datazione a cavallo della metà del secolo dell’opera in questione. Dipinto che già Riccomini e Roli avevano accostato al Ritratto di nano (Bologna, collezione privata) e all’affascinante Ritratto di signora e bambino (Bologna, Pinacoteca Nazionale), entrambi situati intorno alla metà del ’600, le cui caratteristiche, oltre ai generici accostamenti al Velázquez e a certo fiamminghismo filtrato dalla ritrattistica seicentesca, sono ormai più in linea con la cultura di matrice lombarda. Quella particolare attenzione che si concentra sulla persona e sul suo esistere quotidiano, senza eccessive lusinghe nell’indagine affettuosa dei lineamenti, riconoscibile anche nella Bambina di Parma, ripropone proprio quello spirito lombardo di pacata umanità con esiti assai vicini al bergamasco Carlo Ceresa, che, prima degli Anni trenta, come Cittadini fu allievo di Daniele Crespi. Anche se nella particolare chiusura teatrale del tendaggio si fa ormai sentire l’influenza di Guido Reni, presso la cui bottega il pittore milanese operò con largo consenso e riconosciuto successo.

Bibliografia
Copia delle lettere… 1849-1854;
Inventario… 1851;
Inventario… 1852;
Inventario… 1874;
Martini 1875, p. 27;
Pigorini 1887, p. 34;
Ricci 1896, p. 239;
Quintavalle A.O. 1939,
p. 296;
Riccomini 1961, p. 367;
Roli 1977, p. 165;
Lo Russo De Leo 1986, p. 202;
Roio 1992b, p. 171
Restauri
1951-52;
1960-61;
1999 (C. Barbieri)
Scheda di Cristina Quagliotti, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.