• Titolo: Putti su un globo
  • Autore: Jan Soens
  • Data:
  • Tecnica: Affresco staccato trasportato su tela
  • Dimensioni: cm 132 x 58
  • Provenienza: Parma, chiesa di Sant’Alessandro; in Galleria dal 1857
  • Inventario: GN 891
  • Genere: Pittura
  • Museo: Galleria Nazionale
  • Sezione espositiva: Deposito

Intorno al 1870, in una nota relativa all’organo conservato nella chiesa di Sant’Alessandro, Scarabelli Zunti fornisce alcune importanti notizie riguardanti i frammenti di affresco in esame:

“Il più vecchio organo di cui si conosce il fabbricatore – scrive l’erudito parmense – fu costruito nel 1598 da un tale M° Francesco Bramieri; dopo vi misero mano un Doria, un Poncini ed altri meno valenti tutti dei bravi Sangallo i quali nel 1857 lo ricostruirono… Tornando ai giorni del Bramieri le serrande o portelle dell’organo ed i parapetti delle cantorie furono campeggiate – dice il Buttigli (1629 p. x) – di bellissime figure fatte da M° Giovanni Fiammingo (il Sons)… Ma sono già molti anni che a quelle serrande fu sostituita una rozza tela, e quando poi si ebbe a collocare il nuovo organo dei Sangallo fu necessario segare dal muro alcuni graziosi putti dipinti a fresco che ornavano la fascia del sovrastante arco. Giudicati da chi non ne sapeva di meglio, opera di buon pennello del XVI secolo ignorarono che la nota delle pitture scritta nel 1725 aveva detto dopo ricordate le precitate portelle, che esso fiammingo qui tutte dipinse le mura della Tribuna ossia Santuario”.

Le preziose e precise notizie del dotto archivista vennero inspiegabilmente ignorate da tutti gli autori che successivamente si occuparono dei nostri dipinti: nell’Inventario del 1874, infatti, sono detti di Alessandro Tiarini; Ricci (1896) ribadisce l’attribuzione a Tiarini e precisa che “furono levati nel 1854 dalla Chiesa di Sant’Alessandro… dall’arco sotto il quale ora è l’organo”, notizia ripresa nell’Inventario corrente della Galleria, nel quale però al nome di Tiarini si sostituisce l’indicazione di un imprecisato seguace. Negli Atti dell’Accademia del 1854, tuttavia, non si fa menzione di alcun intervento di stacco relativo ad affreschi in Sant’Alessandro, ma anzi si trova una richiesta, avanzata da don Angelo Barbieri parroco della chiesa, per un urgente intervento di restauro su tutte le “pitture che sono in quel tempio” (Atti… 1853-1857, p. 34). Solo due anni dopo (ibidem, p. 127) viene effettivamente deliberata una campagna di restauro dei dipinti della volta e della cupola “da affidarsi ai Sig.ri Colombini figurista e Giacopelli decoratore, ben conosciuti artisti nostrani”. Malgrado non se ne trovi notizia negli Atti relativi al 1857, è assai probabile che i suddetti restauri si siano conclusi entro quell’anno, poiché fin dai primi mesi del 1858 Colombini risulta stabilmente impegnato nel restauro degli affreschi della Cattedrale (Atti… 1857-1863). È altrettanto probabile che in quello stesso 1857 – come affermato da Scarabelli Zunti – si sia provveduto alla sostituzione dell’organo e al conseguente distacco dalla loro originaria sede dei nostri affreschi che in quell’occasione vennero trasferiti nella Galleria dell’Accademia.

La Ghidiglia Quintavalle (1966, 1968b) ribadisce con convinzione l’attribuzione al bolognese Alessandro Tiarini che, è bene ricordarlo ora, nel 1627 eseguì, su commissione della badessa Maura Lucenia (al secolo Margherita Farnese), gli affreschi della cupola, dei pennacchi e del presbiterio della chiesa di Sant’Alessandro.

Un singolare fatto induce oggi a rivedere la tradizionale e consolidata attribuzione all’artista bolognese e a ritornare sulle indicazioni della Nota del 1725 e di Scarabelli Zunti: sulla piccola porzione dell’ arco soprastante l’attuale organo della chiesa rimasta sgombra dall’inserimento del medesimo è ancora presente, in buono stato di conservazione e ben visibile una porzione di affresco del tutto identica per soggetto, composizione, stile e ampiezza a quelle oggetto della nostra analisi (immagine in alto a sinistra). È evidente che né Ricci, né i compilatori degli inventari, né la Ghidiglia Quintavalle hanno mai visto gli affreschi ancora in loco i quali, non gravati dall’impoverimento materico e dalle ridipinture ottocentesche che in parte compromettono la lettura di quelli ora in Galleria, palesano sostanziali differenze sia compositive che stilistiche rispetto a quelli di analogo soggetto effettivamente dipinti da Tiarini nel sottarco che chiude la parete sinistra del presbiterio, inquadrando la grande finestra semicircolare. Nel 1598, dunque, la badessa Maura Lucenia fece erigere nella chiesa del monastero da lei guidato un grandioso organo, dando l’incarico dell’esecuzione dei dipinti delle portelle, della cantoria e delle parti murarie circostanti lo strumento al fiammingo Jan Soens, che almeno dal 1596 era tornato al servizio della Corte farnesiana (per approfondite notizie sulla vita e sull’attività di questo artista si veda Meijer 1988, pp. 53-87, 201-203). Ci piace pensare, ma si tratta solo di una suggestione “sentimentale”, che all’origine di questa commissione ci siano non solo la nota propensione della badessa per la musica e le indicazioni liturgiche posttridentine che affidavano alle solenni note degli organi un importante ruolo di suasione religiosa, ma anche il desiderio di Maura Lucenia di rendere omaggio al musicista Giulio Cima, tenero amico negli anni dell’infelice giovinezza, da lungo tempo per sua causa detenuto nel carcere della Rocchetta (per le vicende umane di Maura Lucenia si veda Dall’Acqua 1990 pp. 34-36 con bibl. prec.).

Fra il 1622 e il 1627 la stessa Maura Lucenia promosse la riedificazione della chiesa, affidata all’architetto Giovan Battista Magnani, e il conseguente completo rifacimento dei suoi dipinti murari, ai quali attesero Angelo Michele Colonna e il già citato Alessandro Tiarini. La parete sinistra del presbiterio, almeno nelle parti afferenti l’organo, non venne interessata da queste radicali trasformazioni e conservò gli apparati decorativi ideati trent’anni prima da Soens.

Ci troviamo, dunque, di fronte alle sole testimonianze superstiti dell’attività di Soens quale frescante di figure, essendo andate perdute altre opere di questo genere realizzate per la Corte, quali le decorazioni del soffitto di una delle stanze di Porta Santa Croce (1585) o della loggia centrale del Palazzo del Giardino (post 1596). Certo non possiamo non notare la mancanza, in queste immagini complessivamente un po’ sommarie, in queste figure talvolta goffe, anatomicamente piuttosto approssimative, di quella minuziosa raffinatezza nordica sposata ai più innovativi portati della cultura artistica parmense e bolognese che caratterizza le migliori prove della maturità dell’artista fiammingo. È necessario, tuttavia, tener conto che la loro originaria collocazione le rendeva probabilmente non perfettamente visibili e funzionali a un apparato decorativo che di certo aveva nelle portelle e nella cantoria dell’organo il suo punto focale. Immagini, dunque, di puro apparato, eseguite probabilmente con una certa rapidità da un artista che forse non aveva nella tecnica dell’affresco la sua arma migliore.

Bibliografia
Nota… 1725;
Inventario.
.. 1874;
Ricci 1896, pp. 401-402;
Scarabelli Zunti fine del XIX secolo,
Materiale…, f. 19v, nota C;
Ghidiglia Quintavalle 1966, p. 40;
Ghidiglia Quintavalle 1968b, p. 63
Restauri
1952-53
Mostre
Parma 1968
Scheda di Patrizia Sivieri, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.