L’alterna vicenda critica di questo dipinto raffigurante il Purgatorio, già assegnato al Tintoretto (Ricci 1896) e a Domenico Cresti, detto il Passignano (Quintavalle 1939 su indicazione del Longhi), è definitivamente chiarita dalla Martini (1980) che, riscontrandone “la forte impronta veneta alla Tintoretto, mai così evidente nel Passignano”, la restituisce al catalogo del pittore senese Pietro Sorri.

Certamente non suggeriti a caso i nomi del Tintoretto e del Passignano sono anzi indicatori delle effettive affinità e comunque appropriati a definire per lo meno l’ambito stilistico, e quindi i maestri, ai quali Sorri fa riferimento. Non completamente definibile un artista senese, per questo alquanto sottovalutato dagli studi sull’arte toscana di fine ’500 e inizi ’600, benché le sue opere si trovino oltre che a Siena, a Lucca, a Pistoia, a Livorno, ad Arezzo e Pisa, Pietro Sorri, resta una figura ambigua e autonoma che, dalle sue continue peregrinazioni in terre straniere (dal Veneto alla Toscana, dalla Lombardia alla Liguria), sa cogliere diversi e molteplici suggerimenti, maturando così un proprio linguaggio figurativo vario e fantasioso, mai ristretto entro limiti precisi anzi assai “fuori contesto” rispetto al panorama artistico locale. Seppur con risultati discontinui l’attività di questo pittore risulta fortemente segnata dall’impronta lasciata dall’arte veneziana nonché dallo stretto legame col fiorentino Passignano, del quale non solo diventò il genero, ma rilevò pure la conduzione della bottega instaurando un rapporto che ne ha limitato nel tempo la corretta valutazione critica e lo ha costretto nell’angusta definizione di “alter ego” ovvero di “sklavisher Nachahmer” (Voss 1920) del maestro fiorentino.

Se qualche dubbio attributivo potrebbe ancora essere sollevato per le evidenti stratificazioni stilistiche che caratterizzano il dipinto della Galleria, l’accurata lettura documentaria e iconografica proposta dalla Martini (1980) consente di restituirne definitivamente la paternità al Sorri. In questo senso risulta determinante non solo la presenza a fianco di Maria in gloria di due santi senesi, santa Caterina e san Bernardino accanto a san Francesco e a san Gerolamo, ma ancor più l’esistenza di un disegno preparatorio della tela (Siena, Pinacoteca, inv. 89, cfr. Martini 1980, scheda n. 43, pp. 114-115). Il foglio che contiene lo schizzo compositivo del Purgatorio parmense dimostra la notevole qualità della produzione grafica del Sorri che frequentemente utilizza studi dal vero per costruire i suoi personaggi che vengono profondamente trasformati nell’opera finale.

Nonostante le varianti, i nudi del disegno sembrano il punto di partenza per l’esecuzione di alcune figure – come si riscontra nel gruppo di sinistra con l’angelo – il cui profilo, l’ombra sul collo e i capelli al vento sono desunti dal volto del giovane in posa “atletica” a sinistra nello schizzo di Siena. Il tratto vibrante delle linee e i rapidi tocchi di acquerello che abbozzano le figure nel disegno, eseguito secondo la tecnica venezianeggiante prediletta dal Sorri, ritornano nel dipinto, in cui “la sommaria definizione delle forme avvolte in un lume dorato e in un’atmosfera visionaria” (Martini 1980, p. 116) e l’impronta bozzettistica dell’opera rimandano a caratteri figurativi tipicamente veneziani, in particolare all’arte del Tintoretto.

Dal mondo figurativo dell’artista veneto il Sorri desume anche l’effetto scenografico della movimentata composizione soprattutto nell’uso di foschi nuvoloni che dividono la scena in due piani e nella resa arditamente scorciata delle figure angeliche dalle vesti svolazzanti e rilucenti.

Di grande fascino per il Sorri l’arte del Tintoretto non sembra, tuttavia, aver prevaricato l’impostazione tosco-senese della sua formazione avvenuta a Siena nell’orbita del Salimbeni, di cui fu allievo, e del Beccafumi (sono gli anni del suo apprendistato intorno al 1579) e quindi  a Firenze nella cerchia del Passignano.
Lo spazio concentrico che si crea con la disposizione circolare degli angeli con le anime purganti e delle figure poste più in basso, all’interno del quale in profondità si anima il regno dei penitenti, nel Purgatorio della Galleria sembra in qualche modo ricordare la Cacciata degli angeli ribelli del Beccafumi (Siena, Pinacoteca). La matrice toscana del Sorri si scopre anche nella ben studiata struttura compositiva e nella scelta di una materia pittorica morbida e fusa che non insiste su linee di contorno precise e nette, nonché predilige un chiaroscuro “fumoso” alla Passignano. Diversi sono peraltro i punti di contatto con l’arte del suocero, come ad esempio i particolari effetti luministici e le tipologie fisionomiche che mostrano evidenti affinità con la Cacciata degli angeli ribelli in San Michele a Badia a Passignano.

Di origine fiorentina, ma più vicini a certe soluzioni pontormesche, sono invece i volti ovali delle figure sul fondo caratterizzati da macchie di colore che bucano i tratti degli occhi, dei nasi e delle bocche.

Il costante oscillare da stilemi compositivi di matrice più tosco-fiorentina a scelte cromatiche luministiche di stampo veneto consentono di collocare l’opera parmense – come giustamente rileva la Martini – ai primi anni del ’600, momento in cui il Sorri, nel suo peregrinare fra la Toscana e il nord Italia, si trova di passaggio in Lombardia dove studia direttamente le opere degli artisti veneti presenti in quei luoghi, da Tintoretto, a Palma fino a Tiziano, come testimoniano alcuni dipinti eseguiti fra il 1605 e il 1608, quali la Pentecoste della Pinacoteca di Siena o la Flagellazione di Cristo in San Quirico a Siena, derivato dall’analogo soggetto di Tiziano già in Santa Maria delle Grazie a Milano. Il viaggio milanese, del resto, porta il Sorri a contatto con un altro grande del Rinascimento, il Correggio, che il pittore senese sembra aver visto durante una presumibile sosta a Parma proprio in quegli anni, e le cui tracce si evidenziano in certi arditi scorci presenti in questo Purgatorio.

La datazione proposta troverebbe un’ulteriore conferma se si potesse identificare il quadro di Parma, di cui non è nota l’ubicazione, con quello indicato nei documenti rivisti dalla Martini come “‘Purgatorio’ inviato alla fine del 1605 da Firenze a … Genova a Salustio Lucchi pittore quale vendé al Sig. Giovan Carlo Doria” (1980, scheda n. 44, p. 116). Dagli inventari della Galleria, del resto, le notizie più antiche risalgono al 1690, quando il dipinto si trovava a Parma in casa Boscoli (Campori 1870), dopodiché fu acquistato dal conte Paolo Sanvitale (Orlandi 1710) e infine acquisito dalla Pinacoteca nel 1834 con l’intera collezione di questa famiglia.

Scheda di Cristina Quagliotti tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.