• Titolo: Paradiso (sovrastato dallo Spirito Santo, il Padre benedicente è assiso al centro sulle nuvole e contornato dalla Vergine e dai santi Giovanni Battista ed Evangelista, Michele Arcangelo, Agostino, Monica e Stefano)
  • Autore: Giovanni Lanfranco
  • Data: 1622 – 1623
  • Tecnica: Olio su tela
  • Dimensioni: cm 200 x 132
  • Provenienza: Parma, chiesa di Ognissanti; a Parigi nel 1799; in Galleria nel 1816
  • Inventario: GN 64
  • Genere: Pittura
  • Museo: Galleria Nazionale
  • Sezione espositiva: Gli emiliani 1500-1600
  • Sezione espositiva: Gli Emiliani 1600

La segnatura considerata apocrifa dal Quintavalle – ma rivelatasi originale durante l’ultimo restauro – non ha impedito allo studioso di superare il giudizio negativo del Ricci che la riteneva una copia “per il tocco relativamente moderno” e di incardinare l’opera nell’alveo influente del Correggio e dei Carracci, imboccato dal Lanfranco negli anni giovanili dopo il 1609.

La datazione viene spostata da Schleier agli anni 1622-23, al momento cioè, definito protobarocco, in cui l’artista “cercò l’emancipazione della plasticità delle forme nei corpi e nei panneggi con una nuova robusta forza, in gran contrasto con la sottile, raffinata nobile eleganza delle opere della seconda metà del decennio precedente”, quando predominano gli influssi del Reni, del Borgianni e il contatto con i “caravaggeschi nobilitati” come Gentileschi, Turchi, Saraceni. La fase postborgiannesca si palesa, per la prima volta, nel quadro di Varese con la Vergine che appare a san Carlo Borromeo assai vicina a Sant’Ottavio (1620) e sarà seguita da quel quinquennio protobarocco, che sfocerà nella piena maturità e in una luminosa tavolozza di spinta neoveneta.

Il Paradiso, che incardina questa evoluzione, potrebbe quindi essere collocato fra il 1625 e il 1627, ed essere stato inviato da Roma, anche se mancano al momento documenti probanti. La chiesa di antica fondazione, nata nel 1230, prende grande importanza nel 1355 allorché si racconta avvenissero molti miracoli “fatti dalla Madonna che si trovava dipinta suso un pilastro in capo di ponte appresso la chiesa di tutti i Santi” e poiché “minacciava ruina” fu fatta riedificare nel 1485, a proprie spese, dal rettore Giovanni Franceschini, ma l’attuale forma architettonica, risultato di un’ulteriore ricostruzione seicentesca, fu sottoposta ad ampi rifacimenti nel corso del XIX secolo, come dimostrano anche gli arredi e i dipinti attuali, che non risalgono a prima del ’700 se si esclude la pala in sagrestia con la Madonna col Bambino e sant’Agostino di Merano, ma proveniente dalla soppressa chiesa agostiniana.

La tela del Lanfranco riveste, così, grande importanza come unica testimonianza sopravvissuta della committenza seicentesca che sceglie un artista ormai affermato, soprattutto nell’ambiente romano, e che pochi anni prima aveva affrontato l’impegnativo compito della cappella Sacchetti in San Giovanni dei Fiorentini a Roma (1621-1624) e numerose altre pale in Santa Marta al Vaticano (oggi a Vienna e in collezione privata inglese) e a Cortona. Lo schema di alcune figure della pala parmense viene, poi, riutilizzato quale modello nella cupola della cappella del Tesoro a Napoli (1643): è il caso del San Michele e del San Giovanni Battista, a dimostrazione di quanto Lanfranco considerasse riuscito questo quadro e i suoi protagonisti. Nel 1980 D’Amico rende noto un bozzetto preparatorio che Schleier considera più tardo e forse di bottega. Lo stesso studioso fa discendere la commissione al Lanfranco da un lascito di 4000 lire imperiali fatto il 30 dicembre 1621 da don Antonio Grandini alla Confraternita dei Vivi e dei Morti istituita nella chiesa, come si deduce dal documento redatto dal notaio Della Valle.

Il parmense Grandini viveva a Roma e potrebbe aver fatto da intermediario fra l’artista e la chiesa desiderosa di accaparrarsi un’opera prestigiosa per il proprio altar maggiore. Si conoscono alcuni disegni preparatori quale il foglio n. 319 (recto e verso) a Capodimonte per la mano sinistra del Cristo e una testa femminile (Schleier 1983, figg. 75-79), il n. 127412 (r-v) nel Gabinetto Nazionale Stampe a Roma (cfr. Prosperi Valente Rodinò 1981 n. 40, e Schleier 1983, p. 88) per la figura del Santo Stefano, strettamente corrispondente all’esecuzione pittorica, mentre nel verso compaiono sostanziali varianti propositive per il san Michele. Un’opera di sicuro impatto visivo per quella circolarità dei santi che attorniano il Padre, che interrompe una preferenza fin qui mostrata per le linee sghembe e per i tagli diagonali, e che ripropone in chiave aggiornata il movimento a spirale di matrice correggesca anche nella schiera di putti luminosissimi talora appena abbozzati che circoscrivono la zona dei santi proposti con maestria di profilo, di prospetto e dal basso e adottando una tavolozza “chiarista” abilmente distribuita, dove non mancano i toni accesi e le proposte naturalistiche, soprattutto nella Santa Monica con il piede sofferto che sguscia dalle vesti violacee fortemente ripiegate. Un paradiso soffice, aereo senza peso, impostato sul vapor acqueo delle nuvole su cui si staglia un bel campionario di pose e panneggi.

Bibliografia
Barri 1671;
Zappata inizi del XVII secolo, p. 108;
Ruta 1780, pp. 69-70;
Affò 1796, p. 124;
Liste… 1796-1815, n. 19;
Ricci 1896, pp. 160-161;
Quintavalle A.O. 1939, p. 66 (con bibl. prec.);
Quintavalle A.O. 1948b, p. 84;
Grandinetti 1973, pp. 7-33;
Schleier 1983 p. 887;
Bernini 19852, p. 34;
Fornari Schianchi 1993, p. 35
Restauri
1988 (Zamboni e Melloni)
Mostre
Parma 1948;
Ibaraki-Nagoya 1990;
Praga 1991;
Bologna 1997
Scheda di Lucia Fornari Schianchi, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.