- Titolo: Paesaggio con cascata d’acqua
- Autore: Gregorio Fidanza
- Data:
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 73 x 98
- Provenienza: Guardamobile ducale; in deposito temporaneo al Ministero degli Affari Esteri a Roma dal 1938; ora e alla Farnesina
- Inventario: Inv. 233
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
I due dipinti dal 1938 sono stati concessi in deposito temporaneo al Ministero degli Affari Esteri a Roma e attualmente si trovano uno a Villa Madama (232) e l’altro alla Farnesina (233).
Non conosciamo le vicende che portarono le due vedute a Parma, tuttavia possiamo identificarle tra i beni elencati nel 1820 del Guardamobile ducale autorizzati in quella data a essere esposti fra le collezioni della prestigiosa e rinnovata Accademia.
L’anno 1811, indicato nel verso, potrebbe corrispondere o alla data di esecuzione oppure a quella di acquisizione; comunque in quel periodo lo Stato parmense era governato dall’amministrazione francese e il difficile momento politico-culturale produsse più una dispersione del patrimonio locale che incrementi, mentre una plausibile acquisizione, per l’amenità dei soggetti e il dimostrato interesse per la pittura di paesaggio, potrebbe essere avvenuta con Maria Luigia d’Austria, poco dopo il 1816, anno del suo arrivo nel ducato. Nel dicembre del 1811 era stata in ogni modo organizzata a Parma da de Lama, segretario dell’Accademia, un’imponente “Esposition publique des produits des arts et manifactures”, a cui erano stati invitati a partecipare tutti i professori e gli Accademici d’onore e sebbene non li troviamo elencati fra i beni esposti, i due dipinti potrebbero essere stati inviati in quella occasione dal Fidanza ed essere stati incamerati poi dal demanio (Musiari 1986, pp. 77 sgg., doc. VII, pp. 202 sgg.).
Il Fidanza aveva sperimentato con successo negli ultimi due decenni del XVIII secolo la pittura di vedute di grande impatto naturalistico, traendo certamente dal vero gli effetti atmosferici, ma poi ricostruendo in studio l’inquadratura e il ricordo fisico di un luogo impresso nella memoria.
Come per Joseph Vernet, artista che operò lungamente in Italia, suo modello ideale, divulgatore di un rinnovato gusto che non ebbe confini geografici per le vedute di porti e marine, anche Fidanza seppe conciliare gli ideali della pittura di paesaggio di Lorrain con uno spirito più rococò, se non quasi romantico. Una sensibilità nuova verso il vero e la natura colta nella sua mutazione di luce, di ambiente che dovette produrre in serie, o quasi, angoli di corsi d’acqua con violente cascate, porti nebbiosi affollati da fantasmi in forma di velieri, o vedute di angoli tipici di Roma tanto apprezzati dal Grand Tour e dal collezionismo di una nuova classe borghese.
Anche a Parma sul finire del secolo in molti possedevano sue tele e certamente la sua fama di piacevole paesaggista precedette il riconoscimento accademico del 1791, se alla morte di Liborio Bertoluzzi, avvenuta nel 1790, nella lista dei beni passati agli eredi, troviamo due “quadretti”, rappresentanti le “cadute di Terni e di Narni” del Fidanza (Gregorio), che alcuni anni dopo, nel 1802, il figlio Giuseppe Bertoluzzi, dopo varie trattative cede per dieci zecchini all’amico Carlo Callegari (Scarabelli Zunti, fine del XIX secolo, Documenti…, vol. VIII; Scarabelli Zunti, fine del XIX secolo, Callani e Bertoluzzi). Ancora nel 1804 altre due tele, “una marina in calma ed una marina in burrasca” compaiono nel catalogo delle opere della collezione del sarto Romengons (comprendente ben novanta dipinti) presentate sotto l’aspetto di una lotteria. Beni che questo francese, domiciliato in Parma e noto con il soprannome SantaMaria, aveva accumulato con i risparmi e compensi per la sua professione e presumiamo alla morte, dovettero disperdersi (Catalogo… 1804). Oltre a queste tele, anche nella collezione appartenuta a Giuseppe Baldrighi, giunta nel 1817 alla vedova del figlio, Marianna Galli, fra varie opere di valore, tra cui la Madonna col Bambino di van Dyck (cfr. Fornari Schianchi 1999a, scheda n. 506, p. 79), leggendo quanto scrisse Giuseppe Bertoluzzi nel ms. 1106, conservato nella Biblioteca Palatina (Cirillo – Godi 1980, I, p. 75), era compreso un Incendio di Gregorio Fidanza. Da quanto sappiamo, non fu però proposto nel 1820 fra le opere acquistate dall’Accademia (Allegri Tassoni 1981, pp. 51-55) e non pensiamo quindi possa essere una delle nostre tele.
Per la limitata conoscenza che abbiamo della produzione di Gregorio e per l’esiguità del repertorio delle sue opere, non è possibile tracciare confronti e quanto meno abbozzare un ordine cronologico della sua intensa attività, come precisò Salerno (1991) e, con una ricerca più profonda, recentemente ha potuto confermare Daria Borghese (1997). Probabilmente dopo il successo di alcuni modelli, non dovette nell’arco della vita cambiare repertorio e quindi anche le nostre tele potrebbero essere state eseguite in un periodo anteriore al 1811, non distante dalla Marina con cielo nebbioso del 1791 (inv. 234; cfr. scheda n. 822).
Possiamo tuttavia rilevare che se il Paesaggio con la cascata, pur di grande freschezza esecutiva nella resa dell’acqua e della vegetazione, non appare di grande impatto innovativo nell’inquadratura, molto vicino a soluzioni di Vernet, sebbene il Fidanza usi con maggior contrasto, quasi una sigla personale, esaltare il forte chiaroscuro dei primi piani, rafforzando sia la narrazione dei personaggi che le linee sinuose della vegetazione, con un disegno nervoso e sfrangiato, nell’altra tela con la Girandola di Castel Sant’Angelo si avverte invece una ricerca diversa. Non c’è solo la veduta di un tipico angolo del Tevere, prospetticamente studiato da quasi tutti i paesaggisti romani del ’700, bensì a interessare l’artista oltre all’ambiente, abbozzato con pennellate sfumate all’orizzonte, c’è lo strabiliante effetto dei colori, della luce, del gioco del cielo infuocato dal “fenomeno artificiale” che si rispecchia nell’acqua, tematica ormai di forte sapore preromantico, che doveva suscitare, per la naturalezza della resa, emozione e meraviglia. Anche l’inglese Joseph Wright verso il 1774 seppe creare una tela con lo stesso soggetto (AA.VV. 1975, n. 64, p. 104), ma in Fidanza non c’è solo la curiosità di uno spettacolo grandioso da perpetuare, ma la ricerca di uno stile pittorico, che sapesse avvicinarsi con rapide pennellate e macchie di colore, il più possibile alla percezione del “fenomeno naturale”, della fluidità dell’atmosfera come dovette intuire Turner apprezzando le sue opere.