- Titolo: Natività
- Autore: Alessandro Araldi
- Data: Primo decennio XVI secolo
- Tecnica: Affresco
- Dimensioni: 240 x 238
- Provenienza: Paradigna (Pr), badia Cistercense (detta già di San Martino dei Bocci o Valserena)
- Inventario: GNs.n.
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Rinascimento in Emilia Ala Nord Ovest Bassa
Il dipinto venne staccato nel 1969 dal transetto destro della badia per il grave stato di abbandono in cui si trovava allora la chiesa e per le condizioni precarie dell’affresco, ormai lacunoso nella zona inferiore. Il lacerto mancante raffigurava senza alcun dubbio il Bambino, verso il quale, a ridosso della capanna, sono in atteggiamento adorante sia la Madonna che San Giuseppe.
Già allora presentava gravi problemi di leggibilità dell’immagine originale, in quanto l’intera superficie era abbondantemente contraffatta da sovrapposizioni pittoriche e rifacimenti, scarsamente coesi al supporto, come ancora si può verificare.
In lontananza, al limitare delle colline, si intravedono alcuni pastori dai contorni molto sfumati, su cui plana l’angelo sostenente un cartiglio.
La grande tela ha l’aspetto di un’opera non ultimata o eseguita solo per fissare fedelmente l’iconografia dell’affresco leonardesco e poi non risolta nei passaggi chiaroscurali. Alla morte dell’artista era ancora nella sua bottega e fu donata l’8 aprile 1530 dall’erede Filippo Porzioli, marito della figlia Orsolina, alla confraternita dei Santi Cosma e Damiano, detta anche della “Disciplina Vecchia”, di cui l’Araldi era stato membro almeno dal 1507 (Scarabelli Zunti (a), II, f. 16v). Presso la confraternita rimase fino al 1841, anno in cui il rettore conte Luchino dal Verme, la vendette per la somma di lire 4000 alla Ducale Galleria (Atti dell’Accademia 1839-1846).
La scena è delimitata da una cornice architettonica pittoricamente costituita da un’architrave sostenuta da pilastri ornati a candelabra su fondo giallo ocra, alla cui sommità, su entrambi i lati, appena leggibili, vi sono due stemmi a forma di scudi contenenti una Croce (emblema presumibile dell’Ordine barnabita), simile alle croci ripetute più volte in cotto nelle absidi esterne della chiesa cistercense.
L’affresco venne segnalato ancora in loco da Quintavalle nel 1961, il quale lo propose senza esitazione all’ambito dell’Araldi, attribuzione che le vicende critiche successive hanno confermato.
Se pur frammentario, ha in effetti i caratteri delle opere dell’eclettico pittore parmense: in particolare conserva nei volti e nelle mani, sebbene molto abrasi, i tratti di un felice disegno, dal segno nitido e sicuro, non troppo discosto da quello utilizzato nel tracciare i personaggi della pala Centoni in Duomo, sua opera firmata e datata al 1516.
In tutto l’affresco, a parte gli incarnati, è ormai scomparsa buona parte della cromia originale e anche il paesaggio – come i panneggi degli abiti e i volumi che delineano la capanna – sono solo ampie zone tonali uniformi, senza alcuna vibrazione chiaroscurale. Solo l’angelo, tipologicamente vicino a quello della tavola con l’Annunciazione e i santi Caterina e Sebastiano si staglia con un contorno nitido contro il cielo, forse per la mancanza dell’azzurro, certamente dipinto a secco.
Senza dubbio il modello per l’intera composizione proviene da soluzioni elaborate nell’ambito umbro, la posa della Madonna con le mani in preghiera non può che derivare dalle tante Natività del Perugino, e in particolare da quella affrescata nella Sala del Cambio o, per rimanere nell’area padana, si può trovare un confronto con la tavola centrale del polittico che il Vannucci aveva eseguito per la Certosa di Pavia, ora conservata alla National Gallery di Londra (Fabjan 1986).
La serena classicità del maestro umbro è tuttavia intesa dall’Araldi con toni dimessi, condotti su piani meno aulici, come se l’interesse verso i “nuovi” modelli fosse solo un necessario aggiornamento iconografico, più che una profonda assimilazione spirituale delle rinnovate vicende pittoriche. Anche questo dipinto riapre l’annoso problema della sua formazione e di una possibile conoscenza di quanto di nuovo veniva elaborato nell’Italia centrale, non solo a Perugia, ma anche a Siena e fino a Roma, dove il Pinturicchio a sua volta sviluppò la stessa soluzione iconografica nella Natività di Santa Maria del Popolo. L’esauriente contributo critico della Zanichelli (1990a) del resto giustifica i diretti collegamenti dell’Araldi con le esperienze dell’Urbe e non solo per la volta a grottesche di San Paolo, tramite la rapida diffusione di stampe e disegni che può aver ricercato personalmente o, come sembra più plausibile, gli venivano suggeriti dalla stretta cerchia umanistica di conventi e confraternite per le quali ha continuato a dipingere a lungo.