- Titolo: Mulino di Santo Spirito a Parma
- Autore: Salvatore Marchesi
- Data: 1866
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: cm 35 x 27
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti; vinto all’Esposizione della Società di Incoraggiamento nel 1866
- Inventario: 592
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Quando dipinge questa tavoletta Salvatore Marchesi, nipote di Luigi, è giovanissimo, quattordicenne, ma già dal 1861 allievo dell’Accademia di Belle Arti parmense e dall’anno 1863-64 frequenta la Scuola di paese sotto la guida di Guido Carmignani, che faceva esercitare gli studenti non solo attraverso la copia degli exempla: talvolta utilizzava anche riprese fotografiche, ma soprattutto faceva loro svolgere riprese dal vero, en plein air.
I luoghi frequentati erano quelli di per sé pittoreschi, angoli cittadini segnati dalla storia o posti al confine tra la città e la campagna, allora ancora così vicina. Come in questo caso, trattandosi di uno scorcio già trattato da artisti di lui maggiori (Enrico Prati, Adelchi Venturini, Camillo Scaramuzza, cfr. inv. 604; scheda n. 1143), tuttavia privilegiando un’angolatura inconsueta e in qualche misura più chiusa, meno aperta e arieggiata sul verde. L’opera probabilmente (cfr. Cobianchi 1998, cui si deve un completo profilo del periodo parmense) è da identificarsi con quella cui viene attribuito nell’anno scolastico 1865-66 un premio di seconda classe in Paese, e subito esposto all’Esposizione della Società promotrice, insomma quasi un esordio sulla scena ufficiale dell’arte parmense. Ora, malgrado una certa palese immaturità, questa piccola tavola sente forte l’influenza della poetica luminosa e materica dei macchiaioli, evidentemente mediata dalla presenza, a Parma in quegli anni, di Vincenzo Cabianca. I forti contrasti chiaroscurali, la pennellata densa, la stesura larga, sintetica, e in qualche caso, per esempio nel cielo, scabra sull’aridità del supporto, sembrano andare oltre gli esempi familiari di Luigi per avvicinarsi direttamente ai modelli toscani. Una qualità di sintesi che costituisce, credo, la precipuità di Salvatore, e che resterà forte anche negli anni siciliani, aiutata forse dalla gran luce meridionale, violentemente abbreviante.