- Titolo: Martirio di santa Margherita
- Autore: Scuola emiliana
- Data: seconda metà secolo XVII
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 71 x 60
- Provenienza: Parma, collezione Sanvitale, 1834
- Inventario: GN 202
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il quadro è coperto da una vernice molto sporca, il craquelé è ormai piuttosto spesso e alcune cadute di pigmento sono state fermate con carta velina. Nonostante questi compromessi che rendono difficile la lettura, i colori sembrano di una tonalità chiara, di gusto quasi settecentesco.
Nei primi inventari Sanvitale, il quadro è descritto come di “autore incerto” (1830, 1834) mentre la copia del documento fatta nel 1835 nomina Francesco Cairo quale autore. È probabile che la connessione fra il dipinto parmense e una pala d’altare della stessa composizione in Santa Margherita a Colorno, attribuita al Cairo, fosse già stata notata nel 1835. Nonostante la ripetizione di questa attribuzione in quasi tutta la letteratura citata qui sotto, Laura Basso elencò il Martirio di santa Margherita a Parma fra le opere non autografe del Cairo (1983-84, p. 88) e Francesco Frangi, nella sua monografia sull’artista pubblicata nel 1998, non ha fatto riferimento all’opera. Queste opinioni negative ci sembrano giustificate.
Infatti la pala d’altare a Colorno ha una storia critica confusa. Già verso la fine del ’600 era stata attribuita al pittore milanese Francesco del Cairo (Oddi XVII secolo, p. 9). Una fonte del tardo ’700 data il quadro e la cornice al 1575 eseguiti su commissione della marchesa Luisa Sanseverino e propone di nuovo l’attribuzione al Cairo (Gozzi 1782, vol. I, p. 583). Di più, sembra che fosse stato Gozzi il primo a raccontare la storia dell’identificazione della santa con Barbara Sanseverino, decapitata nel 1612 (loc. cit.). Chiaramente questi dati non concordano con l’attribuzione tradizionale dell’opera; Francesco del Cairo nacque nel 1607 e morì nel 1665. Se le indicazioni tradizionali non possono portare a conclusioni logiche – come riconobbe Santangelo – lo stesso propone una datazione intorno al 1670 in base agli aspetti stilistici (1934, p. 212).
Altri studiosi hanno cercato di risolvere il problema attribuendo la pala a Paolo Veronese (Testi 1922a). La Matalon citò un articolo, non precisato, del professor Lombardi in cui lo stesso Lombardi avrebbe proposto l’attribuzione al Veronese e definito il quadro di Parma come una copia del Cairo dal Veronese, un’opinione accettata dalla Matalon, con qualche dubbio (1929-30, pp. 77-78). Ma – come notarono Cirillo e Godi – il modello per la pala d’altare di Colorno è il quadro dello stesso soggetto, dipinto da Ludovico Carracci nel 1616 per la chiesa mantovana di San Maurizio, dove si trova tuttora (1977, p. 37). La matrice carraccesca della pala è così chiara, in modo particolare nelle figure dei due manigoldi, che l’origine emiliana del dipinto dovrebbe essere pienamente accettata e siamo d’accordo col Santangelo nel datarla alla seconda metà del ’600.
Già un secolo fa Ricci notò che esisteva ancora una vecchia copia del quadro di Colorno nella collezione Sanvitale (adesso a Fontanellato, Rocca Sanvitale) da dove proviene anche il dipinto di Parma (1896, p. 423). Nel 1977, Cirillo e Godi pubblicarono la versione a Fontanellato quale opera autografa del Cairo e per loro, di qualità superiore al quadro della Galleria (p. 37). Nel 1994, la Fornari Schianchi scrisse che il Martirio a Parma era “considerato, forse a torto, un bozzetto per una pala a Colorno” (p. 55). Siamo d’accordo con la Fornari Schianchi che il quadro di Parma derivi da quello di Colorno. Ma le questioni ancora senza risposte sono, in primo luogo, il perché dell’attribuzione tradizionale al Cairo, totalmente insostenibile, e, in secondo luogo, la particolare attenzione per questa composizione nelle raccolte Sanvitale nella quale esistevano ben due versioni.
È certamente possibile che i rapporti fra le famiglie Sanvitale e Sanseverino abbiano dato fiducia all’identificazione di santa Margherita con Barbara Sanseverino, una leggenda che – come abbiamo visto – è però priva di logica cronologica e iconografica.