Nel 1794 venne proposto come soggetto del concorso di Pittura bandito dall’Accademia “Il Martirio del primo fra gli Apostoli, San Pietro”. Il “pittoresco genio dei Giovani concorrenti” avrebbe potuto “liberamente distinguersi nella composizione di questo quadro, e condecorarlo di quegli accessori più convenienti a far conoscere a primo aspetto il glorioso prototipo, il di cui martirio chiedesi con esattezza, e verità espresso” (Pellegri 1988, p. 286).

La proposta di un tema sacro al posto di un argomento classico-mitologico è in linea con la politica condotta in questi anni da Don Ferdinando Borbone, “ormai dichiaratamente avverso al patrocinio della cultura laica” (Pinto 1982, p. 819) e favorevole a un riavvicinamento col mondo della Chiesa.

Stando agli Atti del Concorso la prima corona venne dagli Accademici tributata a questo dipinto che, anche stilisticamente, si allontana dai canoni neoclassici impostisi negli anni precedenti. I giudici ne lodarono “l’invenzione nobile e leggiadra insieme” e lo “stile facile e naturale”. Valutarono “di buon disegno… le figure tutte diligentemente condotte, e con tocchi franchi nell’estremità finite, e in simmetriche proporzioni disposte, facendo primeggiare il gruppo di mezzo”. Definirono il “colorito armonico, ed accordato con tinte variate” e, in primo luogo, ritennero encomiabile aver il pittore “ricavate varie cognizioni studiando su l’opere insigni dei Carracci e del Guercino, e mostrando che avea ponderato il famoso Quadro di Guido Reni dipinto in Roma su l’istesso soggetto” (Pellegri 1988, 288). È curioso constatare come quest’ultimo commento sia più confacente al quadro di Pécheux (cfr. scheda successiva), in cui palese è l’ispirazione all’opera di Reni, che a questa tela di Capuri. Dal momento che, anche qualitativamente, l’opera del pittore francese appare migliore di quella in questione, è lecito supporre ci sia stata una errata trascrizione delle minute dei giudici negli Atti dell’Accademia, e che siano stati invertiti i nomi dei pittori. Capuri, autore di questa tela, non sarebbe quindi il vincitore della prima corona, cui spetta il giudizio appena riportato, ma della seconda.

Il pittore bolognese dispone, sullo sfondo di un cielo terso e sereno, una nutrita schiera di soldati e semplici spettatori lungo un’unica linea. La tipologia dei volti ricorda quella dei personaggi di Guercino ma non ne restituisce la carica espressiva, mantenendo una sostanziale monotonia. Anche le figure degli sgherri non paiono truci o feroci, cosa che conferisce agli attrezzi di tortura in primo piano un sapore più aneddotico che drammatico. Lo stesso viso del martire pare più stupito che sofferente. Se l’opera risulta non del tutto riuscita nella generica descrizione dei personaggi, si avvale però di una sapiente costruzione compositiva, organizzata lungo due diagonali portanti: la prima è costituita dalla Croce del martire, posta lungo un fascio di luce che culmina nel volto dell’apostolo; la seconda si origina dal gesto del console e prosegue fino alla scala all’estrema destra, scandita dal rincorrersi del rosso guercinesco delle vesti. Rosso, giallo, arancione, bruno sono i colori dominanti, che si equilibrano gli uni con gli altri grazie a una ben studiata regia cromatica. Essi sono stesi in modo uniforme con una resa attenta al gioco chiaroscurale, alla plasticità dei corpi, alla descrizione di un panneggio ampio, di matrice carraccesca.

In questi rimandi alla pittura dei massimi esponenti del ’600 bolognese Capuri dimostra di aver ben appreso la lezione del suo maestro Alessandro Calvi (1740-1815), cosa che invece non può dirsi delle altre due sue opere a noi note, le Stazioni V e IX della Via Crucis nella chiesa arcipretale di Bazzano, in cui si rivela seguace di Gaetano Gandolfi (Dizionario… 1972, vol. III, p. 25).

Bibliografia
Godi 1974, p. XXVII;
Cirillo – Godi 1979d, p. 38;
Pellegri 1988, pp. 287-288
Restauri
1989 (Lab. Degli Angeli)
Mostre
Parma 1979
Marcella Culatti, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.