- Titolo: Maria Luigia d'Asburgo in veste di Concordia
- Autore: Antonio Canova
- Data: 1810-1814 ca.
- Tecnica: Marmo
- Dimensioni: cm 137,3 x 96,5 x 98,4
- Provenienza: Colorno, Palazzo Ducale, 1817; in Galleria dal 1848, donata da Leopoldo d’Asburgo
- Inventario: GN 968
- Genere: Scultura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Ritrattistica ducale
Nell’autunno del 1810 Antonio Canova, in quel momento impegnato a Firenze nell’erezione del Monumento a Vittorio Alfieri, venne cortesemente, ma fermamente, invitato a recarsi a Parigi per eseguire il ritratto della nuova sposa di Napoleone, Maria Luigia d’Asburgo.
I diari dell’artista registrano minuziosamente le conversazioni con l’imperatore e la sua consorte il 13 e il 29 ottobre, il 4 e il 5 novembre nel Castello di Fontainebleau (Honour 1994, pp. 333-371): subito dopo il suo arrivo lo scultore cominciò a modellare l’effigie della sovrana, tanto che il 27 poteva scrivere all’amico Quatremère: “oggi sarà terminato il ritratto, somigliantissimo, per quello che ne dicono le persone che lo hanno finora veduto, e per gliela dire in un orecchio, senza una sola seduta; così in due piedi con qualche occhiata di tratto in tratto, e mentre l’Imperatrice si divertiva con le sue dame al bigliardo, per due sole volte.
Ho voluto scegliere un momento piuttosto allegro, che serio, onde poter prendere il vantaggio possibile da una fisionomia non tanto facile” (Quatremère de Quincy 1834, p. 378). Il 29 il busto in creta fu sottoposto all’imperatore che l’approvò, e il 4 novembre successivo Canova fece vedere a Maria Luigia il calco in gesso tratto dal modello in creta (oggi nella Gipsoteca di Possagno; cfr. Bassi 1957, n. 201); nello stesso tempo furono presi accordi con Napoleone per l’esecuzione della statua in marmo dell’imperatrice in veste di Concordia (a ricordare il suo ruolo di “pacificatrice” tra Francia e Austria), contro un compenso di 2000 luigi (da saldare in tre rate), più 800 per le spese di viaggio “et la perte de temps” (Boyer 1969, pp. 141-143).
Per la raffigurazione della sovrana come Concordia seduta lo scultore rispolverò in realtà un’idea che aveva già messo a punto, attraverso una serie di bozzetti, per una statua di Elisa Baciocchi (L’opera… 1974, nn. 227-228), che successivamente verrà invece raffigurata come Musa Polimnia (cfr. L’opera… 1974, nn. 268-269); a Possagno si conserva un modellino in gesso quasi identico alla definitiva realizzazione in marmo di Parma, ma ancora col volto idealizzato (Bassi 1957, n. 203; L’opera… 1974, n. 229), mentre recentemente è stato reso noto un bel bozzetto a Edimburgo, testimone d’una fase precoce d’elaborazione, in quanto la figura regge con la destra, al posto dello scettro, una grande cornucopia (Clifford 2000). Tali studi probabilmente spiegano la velocità con cui fu approntato nell’atelier di Roma il modello in gesso a grandezza naturale: il 21 dicembre dell’anno successivo Canova poteva scrivere al solito Quatrèmere che “la statua dell’Imperatrice si lavora in marmo, e avanza molto” (Quatremère de Quincy 1834, p. 380), e il 24 febbraio del 1812 lo scultore ricevette, come da accordi, il secondo terzo del pagamento.
Al principio del gennaio 1814, alla vigilia del crollo dell’impero napoleonico, la scultura era completata, ma da Parigi giunse l’inconsueta richiesta di inviarla prima di saldare il compenso pattuito: Canova reagì allora con indignazione, decidendo di trattenere l’opera presso di sé. Dovette attendere per consegnarla e ottenere il pagamento fino a quando Maria Luigia, dopo il congresso di Vienna, non prese possesso del ducato di Parma: il 28 aprile del 1817 la duchessa si recò a Colorno per assistere all’apertura della cassa e il 5 settembre successivo fece vedere con orgoglio il capolavoro al Metternich. Nel 1822, a ornamento della nicchia dove ora è collocata la statua in Galleria, gli ufficiali del ducato fecero porre l’Erma col ritratto della duchessa (oggi Parma, Biblioteca Palatina), commissionata sempre al medesimo Canova (L’opera… 1974, n. 336): e Pietro Giordani scriveva il 7 luglio 1822 al fratellastro del grande scultore veneto, Giambattista Sartori, “sono pur contento che in Parma resti qualche cosa del divino, perché la statua dice la Duchessa di volerla lasciare al figlio” (Giordani 1854, vol. V, pp. 177-178, n. 698). Nel 1848, dopo la morte di Maria Luigia, l’arciduca Leopoldo (figlio del vicerè del Lombardo-Veneto), cui la duchessa, dopo la morte del proprio figlio l’aveva lasciata in eredità, decise di donarla alla città di Parma, affinché fosse stabilmente collocata nella Galleria dell’Accademia che la stessa Maria Luigia aveva fatto allestire dal Bettoli e dal Toschi.
Bollata da molti critici novecenteschi come opera “tra le più stucchevolmente retoriche” del Canova (cfr. Bassi 1943), la scultura è in realtà uno dei capolavori dell’artista nel genere delle statue femminili sedenti (la già ricordata Polimnia, la principessa Leopoldina Esterhazy, Letizia Ramolino Bonaparte, illustrate tutte insieme in una tavola della Storia della scultura del Cicognara), come ben compresero i contemporanei, per primi lo stesso Cicognara, Quatremère e Isabella Teotochi Albrizzi, che la giudicò lavoro “dei più difficili, e ad un tempo più felici del nostro scultore”: riuscitissima appare infatti la fusione tra l’austera nobiltà classica della figura e l’immediatezza parlante del ritratto, fra erudita ispirazione archeologica e affettuoso tratto realistico. L’immediata fama della statua – addirittura quando si trovava ancora nello studio dello scultore – si può cogliere anche dalle sue numerosissime riproduzioni attraverso le stampe (cfr. Bernini Pezzini – Fiorani 1993, p. 207; Testa 1996, tavv. CXXVIII-CXXXIII).