- Titolo: Madonna fra le sante Maria Maddalena e Lucia, detta Madonna di Albinea
- Autore: Correggio (copia da)
- Data: Metà del XVI secolo
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 162 x 154
- Provenienza: In deposito dalla Pinacoteca di Brera di Milano
- Inventario: s.n.
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
È grazie alla corretta e lungimirante politica culturale di Antonio Sorrentino, allora direttore della Regia Galleria, che nel 1929 arriva a Parma questa copia da un originale perduto di Correggio, copia che fino ad allora veniva conservata nei magazzini di Brera, e che viene richiesta onde “ricordare agli studiosi l’originale smarrito, che trovavasi in terra emiliana, ove il maestro svolse la sua principale e più importante attività” (lettera del 27 luglio 1929, carteggio presso la Pinacoteca di Brera).
Ciò naturalmente è bastato per attirare su di essa l’attenzione degli esegeti correggeschi, sia in relazione alle due tele laterali (cfr. schede nn. 147 e 148), che in rapporto alla decorazione del sottarco, soprattutto considerando la circostanza che nella cappella stessa non è mai stata riferita la presenza di una pala centrale (neppure nella visita pastorale Castelli del 1578).
La letteratura storica relativa a quest’ancona dipinta riporta concordemente la data del 1502, purtroppo senza mai citare documentazione al proposito, tuttavia riprendendo in mano la vecchia scheda di catalogo per la Soprintendenza di Parma redatta da Laudadeo Testi nel 1922, sembra che la datazione risalga appunto a lui. Ora, tenendo presente che il Testi attende a ordinare con metodica perizia i documenti relativi all’abbazia di San Giovanni Evangelista (è autore di un lavoro, Il tempio di San Giovanni Evangelista in Parma e gli affreschi del Correggio, rimasto allo stadio di manoscritto e parzialmente utilizzato da Adorni 1979), ne deriva una datazione possibile se pure non documentata e forse un po’ precoce rispetto alle caratteristiche del manufatto.
In questi termini l’ipotesi è però accettata anche da Popham (1957a), che ricostruendo le vicende familiari dei Del Bono intrecciate a quelle del giuspatronato della cappella ne situa l’acquisizione fra il 1492 e il 1502, e cita la nostra ancona avanzando per le tre formelle figurate i nomi di Filippo Mazzola e di Alessandro Araldi, confermando d’altra parte l’impossibilità, date le dimensioni certe della stessa, di poterla legare a una fra le pale presenti o provenienti dalla medesima chiesa. Dati materiali che appaiono ancora incontrovertibili, pur se non mancano voci discordi (Cirillo – Godi 1984) che, riprendendo un’antica indicazione che però non fa menzione alcuna dell’ancona, della locale guidistica (Affò 1796, p. 19; Ruta 1780, p. 51) in rapporto a un dipinto di Francesco Francia raffigurante la Madonna col Bambino la individuano nella tavola con Santi benedettini attualmente in Galleria Nazionale di Parma (inv. 130, I vol. scheda n. 98), di misure assolutamente non conciliabili.
E difatti l’ipotesi è negata anche da Ekserdjian (1997), il quale purtroppo però non accetta neppure quella della datazione, forzando i dati sino a proporre una collocazione contemporanea alla esecuzione degli affreschi del sottarco (post 1525) e un’attribuzione alla “bottega” del Correggio. Rispetto alla quale contraddicono sia la qualità formale delle tavolette dipinte, che le caratteristiche linguistiche del mobile (e basterebbe confrontarlo con la grande ancona architettonica, datata 1530, della Madonna della scodella, peraltro a pochi passi di distanza in Galleria, scheda n. 150). Che vanno in un’altra direzione: tanto il declinare della decorazione dorata sul fondo azzurro pastello, che l’apparato lessicale dai motivi a candelabra sulle fasce laterali e sulla trabeazione in cui dominano mascheroni, bucrani, triglifi, vasi e metope fra girali d’acanto, e infine la presenza di elementi figurali massicci nella cimasa (Dio padre a mezzo busto e una coppia di angeli), rimandano a modelli toscani ma soprattutto veneti da situare intorno al primo decennio del ’500. Ci riportano cioè a un’ipotesi di prima sistemazione della cappella (poi trasformata a breve, come accenna Battisti 1979, p. 132), abbandonata (e la cornice in oggetto giaceva infatti nei depositi del monastero) forse al tempo dell’intervento di Correggio, a favore dell’ipotesi, più articolata e “moderna” in direzione romana, dei due laterali rispetto a quella, più tradizionale e “datata”, della pala centrale.
Se, come risulta, Placido Del Bono si professò monaco nel 1481 (Piva 1988, p. 175) nulla impedisce che insieme al consanguineo Pietro (presumibilmente il padre) abbia gestito sin quasi dall’inizio, in tappe progettuali diverse, l’impresa decorativa della cappella di famiglia. Chiamando magari, in questa fase, prima dell’arrivo in San Giovanni dell’innovativo e moderno artista, quello che all’epoca era considerato il più grande, vale a dire Cristoforo Caselli, al lavoro per la pala con l’Adorazione dei Magi nella terza cappella della stessa chiesa nel 1499. Solo un’ipotesi, considerando anche il ductus più mosso, fibroso e manierato delle tavolette con l’Annunciazione, tuttavia il nome di Caselli vien suggerito, oltre che dal già indicato gusto veneto dell’apparato ligneo, proprio dagli elementi morfologici rilevabili nel tondo col Cristo morto. Presentato dietro il bordo del sepolcro come in tanti prototipi belliniani, esibisce dei capelli avvitati a boccolo molto ben definiti alla maniera del Vivarini, uno stilema ampiamente riscontrabile nei lavori del pittore parmense, ma tutt’altra cosa dai capelli “sfilati”, morbidi e setosi (si riguardi al proposito il Cristo della Deposizione Del Bono) che tanto Vasari ammirava e lodava.