Una giovane madre abbracciata al suo bambino, un’immagine venerata dalla città (si trattò forse di una committenza civica?), posta sulla porta orientale in funzione insieme difensiva e di viatico al viandante, per due volte salvata dalla distruzione.

Il primo salvataggio in occasione dell’allargamento delle mura cittadine voluto nel 1545 da Paolo III per ragioni strategiche inscrivendola entro un oratorio, cui si accedeva per una scala, dedicato alla Visitazione della Beata Maria Vergine e costruito grazie a una confraternita che aveva raccolto i fondi tra i fedeli. Il secondo quando un decreto (1812) del prefetto di Napoleone ordinò l’abbattimento del tempio, e l’affresco fu staccato a massello per trasportarlo presso l’Accademia di Belle Arti.

Pietro Martini (1871) racconta con ricchezza di gustosi particolari la difficile impresa di segare, stringere in un telaio di ferro e trasportare un muro dissestato e sconnesso perché costruito con i sassi del torrente e con una malta molto poco coesa. Quel muro storico fu purtroppo sostituito da un telaio, quando (1948) l’affresco fu staccato e trasportato su tela: certo l’intervento era improcrastinabile, date le pessime condizioni di conservazione (verificabili nella foto ante distacco pubblicata da Corrado Ricci nel 1896), accentuate dalla circostanza che la devozione popolare aveva fornito sia la Vergine che il Bambino di corone d’argento fissate con graffe che avevano contribuito non poco al deterioramento del fragile intonaco specie nella parte superiore. Corone forse sentite come “necessarie”, risarcimento legittimante dell’assoluta umanità dei sacri protagonisti.

Il particolare desueto dei lunghi capelli sciolti, le cui estremità vanno a solleticare la guancia del figlio, danno al volto reclinato dalle palpebre pudicamente abbassate della Vergine un che di adolescenziale, ribadito dalla elegante mano sottile, così sensibilmente leonardesca, che stringe al fianco il Bambino, che risponde all’abbraccio aggrappandosi al mantello e agli stessi capelli. Gesti di quotidiana verità, spiati con tenerezza dal pittore che traduce il rapporto affettivo in termini di assoluta fisicità: non è solo un abbraccio quello che lega i due, piuttosto un intreccio e un intrico di braccia, mani, teste che si toccano, gambette che si ripiegano quasi a cercare la sicurezza del ventre materno.

Un intrico, un vortice meglio, accentuato dall’andamento quasi a cerchi concentrici tanto delle membra quanto degli abiti, una forma in cui le linee rette non esistono, dominano quelle tortuose, sinuose, serpentine, arrotondate, massa morbida inscritta entro le due colonne di un immaginario portico dal quale si intravvede un rosato, purtroppo molto deleto, paesaggio lontano. È questo grumo affettivo e formale l’idea centrale, il pensiero originale da cui Correggio parte per declinarlo poi in figure e colori che hanno come referenti da un lato le tipologie femminili leonardesche, dall’altro Raffaello anche nella tavolozza sofisticata e chiara, come nell’Incoronazione della Vergine, cfr. scheda n. 145: lo confermano le linee, leggibili sull’intonaco, dell’incisione indiretta da cartone: essenziali, spesso non rispettate, comunque protese a insistere sulla sinuosità.

Siamo, anche tecnicamente ma soprattutto per la sicurezza e la maturità creativa che l’artista dimostra, vicini al periodo finale dei lavori in San Giovanni, probabilmente intorno al 1524, anche se, nell’ampia letteratura critica, non mancano voci discordi (per un esauriente riepilogo cfr. Di Giampaolo – Muzzi 1993) e propense a un’anticipazione. Giorgio Vasari l’aveva vista nel 1542 (forse in qualità di viandante?) durante il suo passaggio a Parma, vale la pena di ricordarne le ammirate parole: “Dipinse ancora sopra una porta di quella città una Nostra Donna, che ha il figliuolo in braccio, ch’è stupenda cosa a vedere il vago colorito in fresco di questa opera, dove ne ha riportato da forestieri viandanti, che non hanno visto altro di suo, lode et onore infinito” (Vite… 1568).

Scheda di Luisa Viola tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.