- Titolo: Madonna della Passione
- Autore: Andrea Rizo da Candida
- Data: prima metà XV secolo
- Tecnica: Tempera e oro su tavola
- Dimensioni: 107,9 x 83,8
- Provenienza: ignota; già in Galleria nel 1872
- Inventario: GN447
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Dal Medioevo a Leonardo Ala Ovest
La Vergine Odighitria nella specifica accezione tipologica Amolyntos, o Madonna della Passione (Rothemund 1966), regge sul braccio sinistro il Bambino che, volgendosi verso uno dei due angeli posti ai lati superiori della tavola, assume una marcata espressione di tristezza alla vista dei simboli della sua futura passione.
Tristezza segnicamente espressa dalle linee discendenti delle sopracciglia e della bocca che, con una compostezza che non la rende meno emotiva, si riflette anche nel volto della Madre, sia nella redazione della zona dello sguardo che nel lieve flettere del suo capo. Vergine e Bambino si conformano nelle scelte tipologiche e cromatiche delle loro vesti al canone bizantino. La Vergine veste infatti tunica intima verde scuro listata al collo e ai polsi e maphorion purpureo riportato sul capo che lascia appena intravedere la mitella; il Bambino indossa una tunica azzurra, disseminata di stilizzati motivi dorati e cinta da un’alta fascia rossa, e un manto di un arancio reso ancora più intenso dalla lumeggiatura d’oro che ne segue, a segno o a macchia, i volumi del corpo.
La loro redazione formale, nata dall’ultima fase della pittura bizantina, compone le linee prevalentemente diagonali con scioltezza insieme struttiva ed esornativa, che nel manto del Bambino si configura ormai come una vera e propria crisografia, e articola il colore con intenti tridimensionali.
Il volto della Vergine cala il rigore comneno dell’impostazione tipologica riscontrabile ancora nell’arco sopraccigliare e nella forma del naso in una morbidezza pittorica del tutto paleologa, ripresa dal volto a masse piccole e arrotondate del Bambino. In esso la stempiatura della fronte, tipica dell’Emanuele giovane e vecchio a un tempo, e lo sguardo corrucciato non riescono a cancellare la tenerezza infantile.
L’icona firmata da Andrea Rizo trova stringati riscontri stilistici in un nucleo di tavole analogamente firmate come quella di Firenze (Chatzidakis 1993) accostabile ad essa con particolare pregnanza. Le differenze fra le due immagini, infatti, comportano appena qualche variante di intensità cromatica, e nell’icona parmense una lieve, maggior espansione della parte inferiore del gruppo figurato rispetto alla “luce” di fondo nonché l’aggiunta delle decorazioni a rotae perlinate nel nimbo della Vergine: in entrambe è estremamente accurata la redazione delle mani. Una firma parzialmente caduta è presente anche nelle tavole di Ston, in Dalmazia (Cattapan 1973).
Fra le tavole non firmate ma attribuibili con maggior sicurezza ad Andrea Rizo vanno ricordate almeno quella di Princeton (Cattapan 1973), di Patmo (Chatzidakis 1977a), più rigida forse nella tenuta lineare che si accentuerà ancora maggiormente in esempi posteriori della medesima tipologia (Athènes… 1985, n. 46), nonché il trittico di San Nicola di Bari (Gelao 1988).
Le tavole attribuibili all’iconografo o al suo ambito sono comunque numerose, come solo indicativamente mostrano l’icona di una collezione privata di Atene (Chatzidakis 1986) o quella del Museo Civico Ricchieri di Pordenone (Angiolini Martinelli 1990), ma anche quelle meno note di Ferrara, Rovigo e Vittorio Veneto (Cattapan 1973).
Gli stilemi trovano ovviamente stretti anche se più generici rapporti con la coeva o immediatamente precedente produzione pittorica greca sia da cavalletto (Baltojanni 1986; Rutschkowsky 1992) che murale, come del resto è già stato sottolineato a proposito dell’icona similare della Vergine della Passione di Tokio (Koshi 1973).