- Titolo: Madonna della Misericordia
- Autore: Pier Antonio Bernabei
- Data:
- Tecnica: Affresco staccato, trasportato su tela
- Dimensioni: cm 214 x 460
- Provenienza: Parma, ex Orfanotrofio femminile, già Pia Casa dei Mendicanti; in Galleria dal 1906
- Inventario: GN 1071
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Arte a Parma 1500-1600
È Laudadeo Testi (1907) a informarci dettagliatamente su motivazioni e modalità dell’ingresso nella Galleria Nazionale di questo grande affresco, in origine posto sopra l’ingresso principale dell’Orfanotrofio femminile di Parma (già ubicato in borgo Regale, angolo con borgo Onorato, e abbattuto nel 1961): nel 1906 il dipinto rischiava di andare distrutto per lavori di ampliamento alle finestre dell’edificio e pertanto l’istituto ne cedette la proprietà allo Stato, che in cambio si accollò le spese dello strappo e del trasporto su tela, compiuti “lodevolmente” dal restauratore Filippini nonostante uno stato di conservazione già precario.
A parere del critico si acquisiva così un’opera che “senza essere un capolavoro” rivestiva un particolare valore quale prima testimonianza nel museo di un autore parmense fino ad allora non rappresentato, quel Pier Antonio Bernabei che fra il 1612 e il 1629 eseguì in città alcune delle più importanti decorazioni ad affresco nelle chiese di Santa Maria dei Servi, Santa Maria degli Angeli e Santa Maria del Quartiere (cfr. Masnovo 1909) e che il Lanzi (IV, 1834, p. 89) ricorda come “uno dei migliori frescanti che allora vivessero in Lombardia e in Italia”. Testi accetta quindi e convalida – come del resto dopo di lui Masnovo, Sorrentino e Quintavalle – un’attribuzione riportata da varie fonti ottocentesche (Donati, Bertoluzzi, Scarabelli Zunti), negando invece l’ascrizione a Giovanni Maria Conti avanzata da Grassi, Sanseverini e Gabbi; ancora oggi tale giudizio conserva la sua validità, non solo per motivazioni di carattere stilistico, ma anche in considerazione delle vicende storiche relative all’istituto per cui il dipinto venne eseguito, vicende (dettagliatamente ripercorse da Trombi al quale si rimanda) che fra l’altro consentono di meglio individuare i personaggi rappresentati.
Quello che alla fine del ’700 divenne un orfanotrofio esclusivamente femminile nacque in realtà come Casa dei Mendicanti, cioè ospizio per i poveri della città di ambo i sessi, ad opera di una Congregazione Municipale di Carità e con la protezione del duca Ranuccio I: nel 1596 gli Anziani della città affittano a tale scopo una casa posta nella vicinia di Santa Maria Maddalena da Lucia Fanti Zoboli, considerata ispiratrice dell’iniziativa, che con ogni probabilità in un secondo tempo donò l’edificio stesso (dai libri di spesa della Casa risulta che l’affitto le venne corrisposto fino al 1618 e non oltre, cfr. ASP, Fondo Antichi Ospizi di Parma, b. 470). Del resto fu benefattore dell’ospizio anche il marito Ottavio Zoboli, illustre giureconsulto annoverato fra i notabili parmensi, fiduciario della Corte in incarichi diplomatici e ufficiali (cfr. Allodi 1854-1856, II, pp. 117, 146, 167): nello stesso 1596 egli si impegnava a un versamento triennale, nel 1625 donava l’ingente somma di ben duemila lire imperiali e inoltre rivestì più volte il ruolo di ordinario, carica direttiva all’interno della deputazione di dodici membri preposti al governo della casa (cfr. Trombi 1963, pp. 16, 97-98; ASP, Fondo Antichi Ospizi di Parma, b. 438, Libro delle Ordinazioni 1625-1675).
Ecco allora che l’affresco mostra al centro una Madonna della Misericordia nell’atto di porgere un pane ad alcune fanciulle “mendicanti” alla sua sinistra, in abito chiaro e col velo sul capo, mentre con la destra riceve un secondo pane da un uomo maturo che regge un sacco, forse uno dei deputati, affiancato da altri quattro personaggi che sembrano più giovani e rappresenterebbero quindi i “mendicanti”; sui loro vestiti è ben visibile il giglio farnesiano, allusione al patrocinio ducale. Completano la scena tre figure, sulla destra un uomo che indica l’apparizione a una donna in preghiera, sul lato opposto ancora un uomo che in questo caso rivolge lo sguardo all’osservatore sempre indicando la Vergine; sebbene di solito vengano genericamente definiti rettori del conservatorio, non è forse azzardato identificare in quest’ultimo personaggio Ottavio Zoboli e nella donna lui opposta la moglie, considerata l’importanza del loro contributo alla nascita dell’istituzione. Del resto mentre i volti delle fanciulle e dei giovani (a esclusione dell’ultimo) appaiono piuttosto generici, è indubbio che le figure più anziane denotino una precisa intenzione ritrattistica nel naturalismo delle sembianze, cui non manca una venatura psicologica come nel caso del supposto Zoboli o dell’uomo sulla destra (forse un canonico o un membro del Consorzio dei Vivi e dei Morti, altro importante benefattore della pia casa). Sono questi i brani migliori di un dipinto altrimenti piuttosto povero, di modulo tradizionale e paratattico, caratterizzato da un disegno approssimativo nella definizione dei corpi, nonché da un rapporto proporzionale non perfettamente riuscito fra l’incombente Vergine e i personaggi inginocchiati ai lati. Questa visione semplice e devozionale dell’immagine sacra, congiunta a modi sostanzialmente legati al linguaggio tardomanierista cinquecentesco in cui appena si insinuano aperture verso il nuovo naturalismo, è assai prossima al linguaggio del Bernabei, del quale è stata sottolineata “una certa puntuale volontà ritrattistica desunta dagli esempi di Lattanzio Gambara in Cattedrale e al Collegio Maria Luigia” (Fornari Schianchi 1993, p. 50). Ma sono questi caratteri comuni anche ad Alessandro Bernabei, di cui è ancora difficile distinguere la personalità rispetto a quella del fratello maggiore Pier Antonio (cfr. ibidem, pp. 50-51) per la scarsezza di opere sicuramente documentate, per una certa confusione attributiva nelle fonti stesse, ovviamente legata all’operare dei due artisti in una bottega di carattere familiare, e infine anche per il carattere poco innovativo della loro pittura, in cui desunzioni e rielaborazioni predominano rispetto agli apporti personali. Sulla base di alcune note dello Scarabelli Zunti (fine del XIX secolo, Documenti…, V, cc. 57-58) vi sarebbe comunque motivo di ritenere che fra Alessandro e la Casa dei Mendicanti sia esistito un legame: lo studioso riporta infatti una serie di documenti, desunti dai Libri di Ordinazioni e Rogiti dell’Archivio Comunale, dai quali risulta che nell’aprile 1630 Alessandro Bernabei affitta all’Ufficio della Sanità una casa nella vicinia di Santa Maria Maddalena, da utilizzarsi per ampliare l’ospizio dei Mendicanti con cui confinava, e che nel marzo del 1631 il contratto viene rescisso ritornando l’edificio a Margherita Bernabei, figlia ed erede del pittore, presumibilmente morto nella terribile pestilenza dell’anno precedente (anche in un successivo atto del giugno si parla del “già Messer Alessandro”). La vicinanza topografica e il rapporto di locazione potrebbero indurre a ipotizzare come logica l’esecuzione dell’affresco da parte del Bernabei più giovane e del resto la stessa figura della Madonna sembrerebbe manifestare una certa consonanza tipologica con quella da lui dipinta nello stendardo per la Confraternita di San Quirino (cfr. Frattarolo 1998, pp. 196-197), anche se il carattere piuttosto monumentale delle forme l’accosta alle sibille dipinte da Pier Antonio nelle volte della navata centrale della chiesa delle Cappuccine. Ancora vicino ad Alessandro parrebbe il trattamento dei volti, tondeggianti e saldamente definiti, ma una precisa lettura stilistica dell’affresco risulta seriamente pregiudicata dalle condizioni conservative in cui ci è pervenuto. Non essendo emersi più precisi riscontri dallo spoglio dei libri delle uscite della Casa dei Mendicanti, si preferisce pertanto considerare ancora valida la tradizionale attribuzione, propendendo comunque per una datazione del dipinto non agli inizi del secolo (Trombi), ma al terzo decennio, in un momento in cui si eseguirono interventi di ampliamento (nei già citati documenti segnalati da Scarabelli si parla infatti di casa grande “noviter “ eretta e in altri delle Ordinazioni datati 1632 di collegamenti fra la casa vecchia e nuova) e dopo i lasciti degli Zoboli, verso i quali potrebbe essere stato tangibile ringraziamento da parte della Comunità, se non opera da loro stessi commissionata ad memoriam.