Questo non trascurabile frammento di affresco viene pubblicato da Copertini (1935) come libera interpretazione della Madonna del latte di Correggio di Budapest assegnabile a Scuola parmense del XVI secolo; Quintavalle (1937, 1939) lo dice copia arbitraria attribuibile con quasi totale certezza a Rondani per “le peculiari caratteristiche nella dignità strutturale della figura ricalcata sul Correggio e nelle incertezze della resa sommaria e facilona, ove non mancano tentativi di più vasta interpretazione formale, come anche elementi di grazia”. Nel successivo inventario corrente delle opere della Galleria viene annotato come sicuro lavoro di Rondani di ignota provenienza, “presente in Pinacoteca da tempo immemorabile, né mai inventariato”.

Rispetto all’originale di Correggio, una commissione privata eseguita probabilmente fra il 1523 e il 1524 (Ekserdjian 1997, pp. 144-146) che ha dato origine a diverse copie e numerose riproduzioni a stampa (Mussini 1995, pp. 154-156), l’affresco in esame presenta l’importante variante iconografica e compositiva dell’assenza dell’angelo che porge al Bambino tenuto in grembo dalla Vergine il proprio manto pieno di frutti. Questa estromissione (ammesso che sia originaria e non generata dalle ridipinture che hanno interessato l’opera) toglie alla composizione di Rondani l’euritmico equilibrio che Correggio aveva impresso alla propria invenzione e lascia imperfetta e inconcludente la dinamica disposizione in diagonale delle figure che nell’originale conferiva un’affettuosa naturalità ai gesti delle stesse e alle loro reciproche relazioni.

Anche l’iconografia del dipinto soffre per l’assenza dell’angelo: nella tavola di Correggio, infatti, si fondono originalmente due diversi motivi, quello della Madonna del latte, che sottolinea l’umanità di Cristo e l’umiltà della Vergine, e quello del dono al Bambino di frutti o fiori simbolici, nel caso di Correggio ciliegie e mele cotogne che simbolicamente alludono al Paradiso e alla Redenzione. L’originario e originale significato che scaturisce dalla confluenza dei due motivi, ossia la probabile allusione alla simultanea presenza in Cristo di umanità, divinità e missione redentrice, si perde, purtroppo, nella traduzione di Rondani. Malgrado ciò il dipinto, che ha fra l’altro sofferto un sensibile impoverimento materico, rivela una sensibilità non ordinaria nella restituzione della morbida naturalità delle figure correggesche e un’interpretazione non affettata dell’intima grazia dei gesti, delle espressioni, delle pose. E anche l’indulgere sull’assottigliamento e l’allungamento di talune forme o la scelta di trattare i panneggi attraverso nitide giustapposizioni piuttosto che per sovrapposizioni, non paiono sintomo di faciloneria quanto piuttosto di interesse per le astrazioni formali della maniera di Parmigianino e di Anselmi.

Scheda di Patrizia Sivieri tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.