- Titolo: Madonna con le sante Caterina e Maddalena che reggono l’immagine di san Domenico
- Autore: Francesco Longhi (attribuito a)
- Data: XVII secolo ca
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 385 x 220
- Provenienza: Parma, ex chiesa di San Pietro martire
- Inventario: GN155
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Questa grande pala d’altare giunse in Galleria nel 1825 (Quintavalle 1939) dalla chiesa domenicana di San Pietro martire, in Parma.
Nel 1530 la Madonna del rosario comparve a un domenicano nella cittadina di Soriano per insegnargli come si dovesse dipingere l’immagine di san Domenico con il libro e il giglio.
Qui viene modificata la composizione consueta di questa raffigurazione che normalmente reca la Madonna in alto sulle nubi, secondo il normale senso gerarchico, e i santi in basso sul piano della sfera terrena: infatti, posta nella stessa dimensione delle altre due sante è qui la Vergine, vista inoltre nello stesso ruolo di sostenere l’immagine di san Domenico. È la composizione a quinta del dipinto, tratta da talune pale d’altare dipinte da Annibale Carracci dopo il 1590, ad aver obbligato, per così dire, l’incerto pittore alla disposizione sullo stesso piano di tutte le figure. Se la Madonna del rosario è un culto che si sviluppa a partire dalla battaglia di Lepanto e per l’impulso conferitogli dal papa domenicano Pio V, la diffusione del “San Domenico di Soriano” si colloca ormai senz’altro entro il secolo seguente.
Il manoscritto anonimo del 1725 assegna al Tinti l’“Ancona di san Domenico”, ascrivendo al fiammingo Jan Soens talune delle tele degli altari attigui; don Baistrocchi, poi, nel 1780 lo registra come “di Francesco Longhi, ed alcuni lo credono del Bernabei, ed il Ruta dell’Amidano”. Probabilmente il nome di Francesco Longhi nasceva da un equivoco: nell’Affò infatti (1786) veniamo a sapere che l’ultima cappella a sinistra era ornata di una Santa Caterina di Francesco Longhi, mentre il presente dipinto è menzionato come opera o del Tinti o dell’Amidano. È solo l’Affò dunque a registrare distintamente i due diversi altari, mentre già da prima, come riteniamo, fu la presenza in ambedue di una santa Caterina a far associare il nome del suo autore, Francesco Longhi , anche al nostro San Domenico di Soriano, e questo equivoco venne a scavalcare lo stesso Affò permanendo fino a questo secolo (Quintavalle 1939). Ma se il manierismo tutto romagnolo che caratterizza la pittura di Francesco Longhi, per quanto ne conosciamo, porta a escludere il suo nome da questo dipinto, il confronto d’altronde induce a negare quali possibili autori anche il Tinti o l’Amidano per gli esiti diversi dalla comune fonte correggesca. L’esitante riferimento antico al Bernabei viene a essere oggi il più plausibile grazie ai nuovi studi su questo pittore (Fornari Schianchi 1986) nati dal recente restauro di cupola e volta della chiesa delle Cappuccine nei cui affreschi, da lui eseguiti, è la formazione al seguito di Annibale a emergere e a evidenziarsi, anche se calata entro un impaginato decorativo che ancora trattiene molto della maniera tardocinquecentesca. È noto come il Bernabei avesse studiato a Bologna fino a circa il 1595, entro l’Accademia degli Incamminati.