- Titolo: Madonna col Bambino in trono fra i santi Francesco, Bartolomeo, Giovanni Battista e Giacomo
- Autore: Neri di Bicci
- Data: 1440 circa
- Tecnica: Tempera e oro su tavola
- Dimensioni: 122,5 x 155
- Provenienza: Firenze, chiesa di San Romolo
- Inventario: GN442
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: La pittura toscana e in Italia centrale 1200-1500
Acquistata a Firenze dal marchese Tacoli Canacci sullo scorcio del XVIII secolo, la tavola sembra da identificare con il dipinto osservato dal Richa sull’altare della cappella Cederni nella chiesa fiorentina di San Romolo (1755): benché ne fornisca una descrizione solo parziale (“… nella tavola vi era un S. Francesco con queste parole: ‘Hoc opus fecit fieri Bartolomeus Cederni de Cedernis’…”), la perfetta corrispondenza fra le iscrizioni e la presenza, in entrambe, di un san Francesco, lascia effettivamente credere che quella vista dal gesuita fosse la medesima opera presente oggi in Galleria (Cohn 1956).
Citato dal Tacoli Canacci (1790-1792) quale opera di “Neri di Lorenzo di Bicci” e classificato nei più antichi cataloghi della Galleria come lavoro di “scuola toscana antica” (Toschi 1825; Martini 1875; Pigorini 1887) e “scuola toscana del principio del secolo XV” (Ricci 1896), il dipinto è stato giustamente riferito all’attività giovanile di Neri di Bicci dal van Marle (1928b) e dal Berenson (1932) che ne sottolineavano la particolare commistione di forme trecentesche ed elementi rinascimentali. Recenti ricerche d’archivio inerenti la figura di Bartolomeo di Cederno Cederni (Kent 1989) verrebbero ad attestare l’ipotesi della precoce datazione dell’opera, eseguita con tutta probabilità entro il quinto decennio del ’400: per la realizzazione della tavola Bartolomeo di Cederno Cederni si avvalse di un lascito paterno (1439) nel quale veniva disposto che gli eredi, entro dieci anni dalla morte del dichiarante, destinassero ad minus florenos triginta auri per la decorazione della cappella e dell’altare dei Cederni nella chiesa di San Romolo, nonché 30 fiorini d’oro pro una tabula picta altari et in altare dicte cappelle de Cedernis…que tabula ornetur in optima forma. Cederno muore nel 1439 e da una portata al catasto del figlio Bartolomeo si apprende che nel 1447 il lavoro non è ancora stato eseguito. In quella successiva, datata 1458, non è menzione del suddetto obbligo testamentario per cui è lecito supporre che Bartolomeo attendesse all’adempimento delle ultime volontà del padre nel 1448 o ai primi del 1449, certo non oltre il limite di dieci anni impostogli dal testamento di Cederno. L’assenza di ogni riferimento all’opera nel libro di Ricordanze che lo stesso Neri di Bicci redige a partire dal 1452 (1452-1475) costituisce una prova aggiuntiva di quella precocità di esecuzione che la lettura dei caratteri stilistici ulteriormente conferma: il tipo della composizione, con i santi che si dispongono a semicerchio ai lati della Vergine e del Figlio, il disegno ancora sostanzialmente trecentesco delle singole figure e il ricorso a una pressoché identica sintassi degli elementi architettonici, avvicinano la tavola di Parma alla Madonna col Bambino fra i santi Giacomo, Andrea, Giovanni Battista e Antonio abate di Canneto in Val d’Elsa (San Miniato al Tedesco, Museo Diocesano di Arte Sacra) la quale, con la sua data 1452, costituisce una delle più antiche testimonianze dell’attività del pittore da poco subentrato al padre nella conduzione dell’avviatissima bottega di famiglia. Gli aggiornamenti sulla pittura del Beato Angelico e del Lippi, chiaramente espressi nel lavoro sanminiatese, nella pittura parmense sono tuttavia appena accennati, inseriti in un contesto linguistico che – specie per le figure dei santi – è ancora fortemente legato ai moduli ritardatari di Bicci di Lorenzo, sugli esempi del quale Neri si era venuto formando: nella tavola di Parma è infatti assente quel trattamento insistito della linea, di chiara ascendenza lippesca, che incide i volti e sbalza le capigliature dei personaggi di San Miniato mentre il trascorrere lento del segno, la geometria semplificata, a larghi piani paralleli con cui sono costruite le figure e il marcato plasticismo dei panneggi sembrano indicare una primissima tangenza del pittore con i modi dell’Angelico e di Andrea del Castagno, facendo del dipinto parmense un corrispondente perfetto della giovanile Crocifissione ora nella collegiata di Castiglione Olona; un più accentuato risentimento lineare è riscontrabile nella figura del Bambino mentre il volto della Madre, nel disegnarsi acuto e appuntito dei tratti, risulta del tutto assimilabile a quello della Vergine di San Miniato.
Nonostante la chiara dipendenza dai modi di Bicci di Lorenzo, nella tavola di Parma è possibile leggere un preciso desiderio di aggiornamento alle novità rinascimentali come denunziano la struttura del dipinto, riquadrato “all’antica”, il disegno e l’articolazione prospettica dei singoli elementi architettonici; l’impianto del trono, chiaramente ispirato alla complessità dei prototipi del Lippi, è tuttavia alieno da ogni volontà di concreto e sistematico approccio alle nuove leggi di spazio, forma e volume dichiarando semmai, nella sovrabbondanza degli elementi e nella fantasiosa combinazione dei partiti architettonici, un preciso accostamento alle forme altrettanto ornate di certa architettura minore. La tavola di Parma viene pertanto a collocarsi in un periodo assai prossimo, anche se precedente, l’esecuzione della pala di San Miniato al Tedesco testimoniando il momento in cui, legato ancora ai modi del padre, Neri attua un primo accostamento alla lezione dell’Angelico e del Lippi, aggiornando il lessico trecentesco di Bicci di Lorenzo sulle formulazioni della nuova civiltà del Rinascimento.