La tipologia dei volti (ovale della Madonna e riccioli del Bambino), nonché l’atteggiamento di statica ostensione del Bambino seguono ancora la tradizione consolidata di un raffaellismo ridotto a una composizione stereotipata e circoscritta a un imperturbato classicismo.

È un’immagine votiva destinata ai ceti popolari; non sembra un’opera commissionata da qualcuno con devozioni particolari o finalizzata a determinate collocazioni per il culto.

I contorni delle figure piuttosto sono disegnati con rigidità, la presentazione prospettica è debole; il fondo è ridipinto e i ritocchi sul Bambino sono diffusi anche in rapporto alle tracce del nimbo. Non appare alcun elemento distintivo che rinvii a una cultura o a una formazione di buon livello, ma a una bottega che lavora senza coinvolgimenti di tecniche o di scuole coeve. I diffusi ritocchi provano anche una debole qualità e tenuta delle materie pittoriche impiegate; la stessa cornice sembra riadattata alla tavola. L’inventario lo spinge nel XVII secolo, dove però non ci sarebbe stata necessità per un’immagine così formulata, in quanto sarebbe stata sentita come anacronistica.

Scheda di Stefano Pronti tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.